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Carceri sovraffollate in Italia
Abbiamo iniziato la tragica conta dei suicidi negli istituti penitenziari modificando di volta in volta il parametro temporale di riferimento: 2 suicidi a settimana, 20 suicidi in due mesi, 61 suicidi nei primi 6 mesi del nuovo anno.
La straziante vicenda del detenuto del carcere di Prato ritrovato impiccato nella sua cella porta i dati finora raccolti a confrontarsi con una nuova media: nelle carceri italiane si registrano 10 suicidi al mese.
La stagione estiva ha sempre rappresentato uno dei periodi più drammatici all’interno degli istituti penitenziari, in cui le condizioni di degrado e sofferenza dei reclusi esplodono violentemente. Eppure, appare quasi come se per le carceri italiane tutto l’anno vi siano state tragedie nelle tragedie, a prescindere dalle stagioni e a prescindere dalle singole condizioni.
Siamo davanti alla “stagione dei suicidi e delle rivolte”, che non sembra essere circoscritta nel tempo, ma ciclica e infinita: il Dap aveva registrato, al 22 luglio, ben 87 rivolte, a cui devono essere aggiunti i disordini montati nella casa circondariale di Velletri, le proteste nelle carceri di Terni e di Biella, l’occupazione dei passeggi di Regina Coeli e molto altro ancora. Brande utilizzate per barricarsi, neon divelti, proteste per delle condizioni di detenzione in netto peggioramento.
Oltre al dato del sovraffollamento, che non appare arrestarsi, vi è poi quello riguardante la scarsa presenza di personale sanitario, la mancanza di terapie differenziate e idonee a far fronte alle esigenze mediche dei detenuti, la mancanza di lavoro, unico canale di comunicazione con l’esterno, la mancanza di acqua corrente per fare le docce!
Il Governo è intervenuto con un decreto legge che prevede una serie di misure eterogenee, che si snodano sia nel verso della semplificazione delle procedure, sia nel potenziamento delle strutture. Misure da accogliere sicuramente con favore che ci ricordano come lo Stato non debba e non possa lasciare soli i detenuti, ma che purtroppo, data la gravità della situazione, ormai al di fuori da un alveo di normalità, non sono in grado, quantomeno nel breve periodo, di incidere sul tasso di sovraffollamento e più in generale sulle condizioni di detenzione.
Davanti ad una situazione straordinaria diventata però tristemente ordinaria, costellata da rivolte, suicidi, insofferenze, stati patologici non curati, non appare possibile cercare di risolvere gli annosi problemi che gravano sulla realtà penitenziaria italiana in modo agile.
Una riforma organica, completa, che sappia toccare ogni ingranaggio difettoso, ogni polmone in apnea, dell’intero circuito penitenziario, non può più aspettare.
Spesso il termine “svuotacarceri” viene ripudiato, quasi allontanato con disprezzo e guardato con diffidenza. Tuttavia, una razionale sistemazione dei detenuti, una maggiore celerità nella concessione delle misure alternative alla detenzione, un generale alleggerimento dei numeri di reclusi porterebbero soltanto ad evitare tragedie annunciate, quali quelle che ogni giorno troviamo sui giornali, come un bollettino di guerra.
Si noti bene, aprire le porte del carcere non assume il significato di svuotare la pena della propria funzione afflittiva! Ricercare, trovare, inventare nuovi metodi per alleggerire la pressione sulle carceri, facendo ricorso alle comunità, al lavoro all’esterno, ai servizi sociali, a dei domicili idonei: sono tutti metodi che permetterebbero ai detenuti di scontare la propria pena, ma in condizioni e modalità idonee e confacenti alla democraticità di uno Stato che pone il principio di rieducazione come baluardo costituzionale.
Gli appelli lanciati nei confronti del legislatore sono numerosi: nuovi provvedimenti, anche coraggiosi (su tutti l’amnistia e l’indulto, previsti dalla nostra Carta Costituzionale), ma che possano fermare la perenne stagione dei suicidi e restituire ai detenuti quell’umanità e quella vicinanza perse dietro delle sbarre troppo strette per accogliere le persone al loro interno.
Ricordandoci sempre, infatti, che i numeri di cui parliamo e che siamo abituati a registrare hanno un volto, una storia e un nome, che non possono scivolare via tra le fauci di un sistema costantemente pronto a esplodere.