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Cartabia
La riforma Cartabia ha incassato il sì del Senato, con i due voti di fiducia che hanno sancito la fine dell’era Bonafede e chiuso uno dei capitoli fondamentali per ottenere i fondi del Pnrr. Il governo ha incassato la fiducia sull’articolo 1 del disegno di legge delega con 208 voti favorevoli e 28 contrari, mentre per il secondo articolo i sì sono stati 200 contro 27 no. Il voto finale sulla riforma è atteso per domani mattina al Senato. Regge, dunque, l’asse di maggioranza, con la quarta fiducia in 48 ore, dopo quelle sul ddl civile e sul Green pass, decisione che ha fatto infuriare l’opposizione, che ha denunciato un esautoramento del Parlamento. «Nella riforma del processo penale, come per quello civile, mancano le riforme strutturali e soprattutto è mancata la dialettica democratica del confronto parlamentare, con un Parlamento ridotto ad una scatola vuota a colpi di fiducia: per questo motivo Fratelli d’Italia esprime convintamente il proprio voto contrario alla riforma e a questo modo vergognoso di procedere», ha dichiarato Alberto Balboni, vicepresidente della commissione Giustizia, che già martedì aveva battagliato durante il voto sul ddl civile. «L’Europa in cambio del Pnrr ci chiede le riforme - ha spiegato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà (M5S) a Start su SkyTg24 - e quindi la fiducia ci aiuta ad accelerare i lavori dell’aula per avere queste riforme». Per Balboni, in ogni caso, la riforma è un «ibrido tra prescrizione e improcedibilità che si risolve in un'amnistia di fatto: al governo dei migliori è mancato il coraggio di cancellare la riforma Bonafede e di tornare al regime precedente e l’unica cosa cui questa riforma giunge è la certezza dell’impunità: una toppa peggiore del buco». La seduta di ieri è iniziata con la protesta dei senatori di “L’Alternativa c’è”, che hanno lasciato volare due palloncini blu e gialli pieni di elio con su scritto “Vergognatevi”, corredati da un cartello con su scritto “Impunità di Stato”. Un concetto ribadito dal senatore Mattia Crucioli durante la propria dichiarazione di voto, in dissenso rispetto al gruppo Misto di cui fa parte. Oggetto di polemica l’improcedibilità che, ad avviso di Crucioli, «consentirà a chi avrà buoni avvocati di prendere tempo e arrivare all'improcedibilità, basterà tirarla per le lunghe e dopo due anni in appello e tre anni in Cassazione, ci sarà l'improcedibilità o comunque un cavillo per non procedere». Un concetto, questo, ribadito anche dal presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra, tra i grillini ortodossi che non hanno mai digerito la nascita del governo Draghi. Nonostante la solidità della maggioranza, la discussione ha messo in luce la contrapposizione tra le sue diverse anime: da un lato chi, come i 5 Stelle, ha votato la fiducia pur rivendicando il lavoro del ministro Bonafede e l’aver “salvato” i reati più gravi dalla tagliola dell’improcedibilità e chi, in prima fila Matteo Renzi, ha festeggiato la fine del «giustizialismo» grillino. Ma l’ex premier non ha mancato di puntare lo sguardo altrove, ovvero su quella riforma dell’ordinamento giudiziario per la quale i tempi sono già risicati e che risulta quanto mai urgente, in vista dell’elezione del prossimo Csm e alla luce dei terremoti che hanno attraversato quello attuale. Renzi ha infatti ricordato la crisi della magistratura e lo strapotere delle toghe, che per anni avrebbero avuto la libertà di decidere «chi poteva far carriera politica e chi no, perché abbiamo detto che un avviso di garanzia costituiva una sentenza di condanna». Per il leader di Italia Viva il problema non è la separazione delle carriere, ma lo strapotere «vergognoso» delle correnti della magistratura. «Devi fare carriera se sei bravo non se sei iscritto ad una corrente - ha aggiunto -. La vera separazione delle carriere è da fare tra la corrente e il magistrato». E ha aggiunto: «Se di fronte a questo non usiamo i tempi che vanno da qui al rinnovo del Csm nel luglio del 2022 per scrivere una pagina nuova, non importa chi sarà il prossimo a essere coinvolto. La vera vittima della nostra inerzia sarà la credibilità delle istituzioni e la dignità della magistratura. Non conveniva che io parlassi ma ci sono momenti in cui avere il il coraggio di chiamare le cose con il loro nome è un dovere politico, civile e morale». Ciò che conta, per la vicepresidente dem del Senato, Anna Rossomando, è invece chiudere con il passato. «Tra impunità e giustizialismo scegliamo il garantismo che deve essere una precondizione che appartiene a tutti - ha dichiarato -. I processi non si fanno in piazza con il popolo, ma nei tribunali nel nome del popolo italiano. Sappiamo che la riforma del processo penale è collegata a quella del Csm sulla quale abbiamo depositato proposte chiare e incisive. Dobbiamo chiudere definitivamente una stagione che ha portato solo mali alla giustizia, quella del regolamento di conti tra poteri dello Stato, perché il tema dell'equilibrio tra questi poteri e le loro funzioni c'è, ma non è inaugurando una nuova stagione di regolamenti di conti che lo affrontiamo, ma con interventi puntuali, che sappiamo non essere indolori. E il luogo delle riforme è il Parlamento, perché è dal Parlamento che parliamo ai cittadini ed è qui che ci assumiamo la responsabilità». A parlare della crisi che ha investito la Giustizia anche il senatore Giacomo Caliendo, di Forza Italia, che ha celebrato la morte del “fine processo mai”. Un vero e proprio «sconcio», per l’ex magistrato, che ha invitato i colleghi a riflettere sulle parole di Renzi. «Io non sono garantista per modo di dire. Credo che il vero garantismo si realizzi attraverso l’applicazione della legge e delle regole sempre senza alcuna influenza politica. Quando uscì il libro di Palamara e Sallusti io chiesi al presidente della Commissione Giustizia di tenere delle sedute per analizzare e discutere profondamente ma tutto fu reso vano dall’intervento dell’allora ministro della Giustizia che voleva modificare il sistema di elezione del Csm, dimostrando di non aver capito nulla di quanto succede nella giustizia italiana - ha sottolineato -. Se in Italia accade che centinaia di indagati finiscono in galera o ai domiciliari e poi vengono assolti significa che qualcosa non funziona e non credo che sia un problema legato al nostro codice. Manca certamente un severo controllo giurisdizionale e mancano i criteri generali dell’azione penale esercitata dai pm che solo il Parlamento dovrebbe dare. Ora l’Anm, che negli anni Settanta e Ottanta li chiedeva, è nettamente contraria ma a questo bisognerà arrivare se vogliamo davvero una giustizia equilibrata e indipendente». Insomma, il Senato sta già con la testa alla prossima riforma. Quella attuale, intanto, fa esultare un po’ tutti: «Con questa riforma si cambia strada, si inizia una nuova fase, che noi di Forza Italia abbiamo auspicato da lungo tempo - ha dichiarato Fiammetta Modena -. Il testo esaminato con grande profondità e impegno, in particolare alla Camera, mette un punto di equilibrio e ritorna in sintonia con gli articoli 27 e 111 della Costituzione». A prendere gli onori della riforma anche il M5S, che attraverso la vicepresidente della Commissione Giustizia, Elvira Lucia Evangelista, ha ricordato i “meriti” del governo Conte e dei grillini, che hanno lottato per l’introduzione di «modifiche decisive per evitare che la nuova improcedibilità si trasformasse in giustizia negata in tanti processi. Abbiamo il dovere di dare certezza della giustizia a chi la chiede».