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Tutto sta a capire se si eviterà di sprecare un’altra occasione. Dopo la sentenza Torreggiani l’Italia si impegnò a umanizzare la condizione dei detenuti senza dar seguito agli annunci. La pronuncia emessa nel 2014 dalla Corte costituzionale in materia di “droghe leggere” provocò una deflazione illusoria e solo temporanea nelle carceri. Ieri però sono arrivati un allarme e un segnale importanti. Il primo è nella Relazione di Mauro Palma, presidente dell’Autorità garante dei detenuti, che ha certificato la risalita del sovraffollamento (come riferito nel dettaglio in altro servizio del giornale, ndr) e «la necessità di interventi che riducano la pressione». Alle parole con cui Palma spegne l’illusione di carceri svuotate dall’emergenza sanitaria, la guardasigilli Marta Cartabia non solo fa eco («il sovraffollamento torna a destare preoccupazione) ma risponde anche con una promessa: si impegna a fronteggiare la deriva «su una pluralità di fronti». Non fa particolari annunci, se non uno generico: «Le misure alternative per pene detentive brevissime possono essere un terreno di elezione per proseguire su una strada che il nostro ordinamento sperimenta da tempo». Il riferimento è alle misure ipotizzate nel ddl penale. Più precisamente, alle proposte avanzate dalla commissione Lattanzi e che la ministra si prepara a fare proprie.Si tratta di misure di grande interesse, a cui la relazione degli “esperti” individuati da Cartabia dedica l’intero quarto capitolo. Su tutte, si segnala la “commisurazione” delle sanzioni pecuniarie alle oggettive possibilità economiche del condannato, combinata con gli interventi sull’articolo 9 del ddl Bonafede, grazie ai quali quelle sanzioni sarebbero più spesso adottate in sostituzione del carcere. È una riforma che l’accademia penalistica invoca da anni e che oltre a velocizzare la “macchina processuale”, aiuterebbe a decongestionare gli istituti. A evitare che vi finisca chi non può accedere a pene pecuniarie alternative alla detenzione semplicemente perché quelle pene sono insostenibili alla luce delle condizioni di reddito. Cartabia non entra nello specifico di tali ipotesi, nella propria “replica” a Palma. Non si sofferma sulla proposta, avanzata sempre da Lattanzi, di estendere in modo significativo le archiviazioni “per particolare tenuità del fatto” e la sospensione della pena con messa alla prova. Lattanzi suggerisce di allargare quest’ultimo istituto a un numero di fattispecie assai più ampio di quanto avvenga oggi, anche a reati punibili con pene massime fino a 10 anni (cosa che ora avviene solo in casi rari, come per la ricettazione).La svolta è contenuta nei piani preparatori della “riforma Cartabia”. Cioè di quel restyling del ddl penale che la guardasigilli si prepara ad attuare attraverso i propri emendamenti. Colpisce il fatto che se ne parli poco. Come se una pur indiretta riforma del carcere debba farsi strada con circospezione, senza particolare enfasi, per scampare alla censura dei partiti e dell’opinione pubblica “giustizialisti”. D’altra parte, Cartabia è chiarissima quando svolge un’altra riflessione: «Arriveranno anche interventi sull’architettura penitenziaria con i fondi del Recovery, interventi che dovrebbero migliorare le condizioni di vita per tutti, ma che», avverte, «evidentemente richiedono tempo». Il messaggio è chiaro: intanto che le risorse europee saranno disponibili e i luoghi trattamentali fisicamente ampliati, non si può pensare di tenere i reclusi come sardine.La ministra confida nelle riforme. Ma la civiltà dell’esecuzione penale potrebbe beneficiare, almeno un po’, anche di un’eventuale vittoria del referendum di radicali e Lega sulla custodia cautelare. Il quesito, se approvato, escluderebbe il carcere preventivo adottato in virtù del solo rischio che l’indagato reiteri lo specifico reato addebitatogli dall’accusa. Gli esperti assicurano che il numero dei detenuti in attesa di giudizio calerebbe di molto. Sarà interessante verificare la capacità di Salvini nel difendere, da leader di un partito devoto alla “certezza della pena”, la battaglia avviata col Partito radicale.Lavorare per la dignità delle carceri è in ogni caso sempre difficile. Cartabia ricorda quanto sia necessario, alla causa, il Garante dei detenuti: «È come una vedetta» che «aiuta a far emergere preventivamente i problemi del carcere». E ancora: «Da quando anche in Italia, come in altri Paesi, è stata introdotta questa figura, tutta la nostra società ha compiuto un importante passo in avanti», perché «con la presenza di un Garante, la città sa di poter guardare in ogni momento al di là di quegli alti muri di cinta che separano i penitenziari dalla vita comune». Parole sacrosante. Ma ora dovrà essere innanzitutto il Parlamento a dare valore a quell’istituzione, che ha appena chiesto di evitare altri atti disumani nei confronti di chi si trova dietro le sbarre.