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“Il cammino della riforma contenuta nello schema di decreto legislativo adottato il 22 dicembre 2017 rischia di avere una definitiva battuta di arresto: ci rivolgiamo con forza al Governo perché, mantenendo fede all’impegno assunto ed esercitando almeno nella sua parte fondamentale la delega votata dal Parlamento, approvi in via definitiva, pur dopo le elezioni politiche, la riforma dell’ordinamento penitenziario, riportando l’esecuzione penale entro una cornice di legalità costituzionale e sovranazionale dopo le umilianti condanne europee'. Si tratta del passaggio principale del nuovo appello – che sottoscrive anche l’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini, da due anni in continui scioperi della fame per chiedere l’immediata approvazione - lanciato da associazioni e singoli giuristi. Tra i firmatari, figurano l’Unione camere penali italiane, il Consiglio nazionale forense, Magistratura democratica, Antigone, nonché personalità come Edmondo Bruti Liberati, Giovanni Fiandaca, Carlo Federico Grosso, Tomaso Montanari, Valerio Onida, Armando Spataro, Vladimiro Zagrebelsky.
La riforma dell’ordinamento penitenziario ancora non trova luce. Il 22 febbraio scorso, l’ultima riunione del Consiglio dei ministri, il governo ancora in carica ha preferito mettere in stand by il decreto attuativo della riforma dell’ordinamento penitenziario già esaminato, con tanto di osservazioni, dalle Commissioni giustizia. «Del resto della riforma ce ne occupe- remo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi», aveva affermato in conferenza stampa il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni a dieci giorni dalle elezioni politiche. Durante la riunione erano stati invece licenziati preliminarmente tre decreti, in materia di giustizia riparativa, di mediazione tra il reo e la vittima e di revisione dell’ordinamento penitenziario minorile che però dovranno affrontare il complesso iter dell’esame delle commissioni Giustizia delle due camere.
In estrema sintesi, la riforma dell’ordinamento penitenziario non è stata ancora approvata come è stato più volte promesso dal guardasigilli e, recentemente, dallo stesso premier Gentiloni. La cosa aveva colto tutti di sorpresa. A partire da figure istituzionali come il garante dei detenuti Mauro Palma che non a caso aveva inviato una nota al ministro Orlando per chiedergli di far approvare il testo originale della riforma, senza prendere in considerazione le osservazioni espresse dalla commissione del Senato, le quali rischiano di proporre l’annullamento del sistema degli automatismi che impediscono per ampi settori di detenuti l’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative al carcere. Eppure è proprio questo il decreto che il Cdm ha deciso di mettere nel cassetto. «Ci lascia attoniti e sbalorditi», scrissero i garanti locali e regionali attraverso una nota del coordinamento nazionale. Tecnicamente il governo è in carica fino al 23 marzo. La composizione del Parlamento, però, nel frattempo è radicalmente cambiato e le forze moderate che appoggiano la riforma sono state quasi spazzate via dalle elezioni. Nonostante questo, Gentiloni porterà a termine la promessa?