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Ora fioccano le interrogazioni parlamentari sui pestaggi di Santa Maria Capua Vetere, ma solo a distanza di sei mesi dai fatti già denunciati dalle pagine de Il Dubbio (il 12 e 14 aprile scorso) tramite ricostruzioni dei familiari e interviste a chi è stato percosso. Il ministro della giustizia tace, ma anche il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Così come tacciono anche su altri presunti pestaggi avvenuti in diverse carceri, dove – come risposta alle rivolte –,se confermato, si sarebbe verificata una grave violazione dei diritti umani.Nell’ombra, ad esempio, è rimasta la vicenda di Foggia che solo Il Dubbio ha reso pubblica. Ad occuparsi del caso è stata “La rete emergenza carcere” composta dalle associazioni Yairaiha Onlus, Bianca Guidetti Serra, Legal Team, Osservatorio Repressione e LasciateCIEntrare. Le testimonianze dei familiari dei detenuti Si tratta di testimonianze dei familiari di alcuni detenuti presso la Casa circondariale di Foggia prima del trasferimento in seguito alla rivolta. Sono ben sette le drammatiche testimonianze, compreso la violenza che si sarebbe perpetuata nei confronti di un detenuto in carrozzina, ma finora silenzio tombale.Riportiamo nuovamente alcune testimonianze citate nell’esposto: «In data 8/ 03/ 2020 mio figlio, detenuto fino al 12/ 03 presso la Casa circondariale di Foggia durante la chiamata, mi ha riferito quanto segue: a seguito delle manifestazioni di protesta messe in atto da parte di numerosi detenuti impauriti a causa dell’allarme Coronavirus, il giorno della rivolta sono entrati in 5 o 6, incappucciati e con manganelli. I detenuti sono stati massacrati di botte, trasferiti solo con ciabatte e pigiama e tenuti in isolamento per i successivi 6/ 7 giorni. Solo dopo una settimana i detenuti hanno ricevuto i loro oggetti personali», riferisce la madre del detenuto, trasferito al carcere di Viterbo.Testimonianza della sorella di un altro detenuto: «In data 9 marzo mio fratello, durante la telefonata, mi ha riferito quanto segue: in piena notte è stato picchiato a manganellate e portato via in pigiama e ciabatte per essere trasferito in un’altra struttura, dopo la rivolta fatta alcuni giorni prima». Mio figlio preso a manganellate Nell’esposto in Procura si aggiunge anche la testimonianza di un’altra madre di un detenuto, poi trasferito nel carcere di Catanzaro: «In data 9 marzo mio figlio, durante la telefonata, mi ha riferito quanto segue: di essere stato picchiato a manganellate su tutto il corpo, specialmente sulle gambe e portato al carcere di Catanzaro senza avere la possibilità di prendere il vestiario o il minimo indispensabile». C’è poi un’altra testimonianza, questa volta della moglie di un detenuto invalido. «ll 20/ 03/ 2020 durante la telefonata con mio marito – testimonia la donna – ho avvertito la sua sofferenza, accusava dolori alle costole e mi ha riferito di aver sbattuto da qualche parte. Lui è invalido al 100% e non potrebbe mai muoversi con violenza dal momento che è in carrozzina. Sono certa che lui non può parlare liberamente. Infatti, successivamente mi ha riferito che la prima lettera che avrebbe voluto inviarmi dopo il massacro successo a Foggia gli è stata strappata. Gli ho detto di farsi portare al pronto soccorso ma non lo fanno perché altrimenti andrebbe in quarantena. Io voglio vederci chiaro!». Sono tutte testimonianze drammatiche. Sono passati però mesi e tutto tace. Come detto, non solo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, ma si sarebbe verificata una sistematica ritorsione avvenuta in diversi penitenziari come risposta alle rivolte di marzo scorso.