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Oramai è quasi certo. Cambieranno i vertici del Dap per volere del ministro della Giustizia. Il motivo? Le polemiche sui domiciliari concessi per gravi motivi di salute ad alcuni detenuti reclusi al 41 bis. Eppure non si spiega cosa c’entri l’amministrazione penitenziaria con i provvedimenti della magistratura di sorveglianza. Le indignazioni veicolate dai media hanno scatenato un urgano tanto che il guardasigilli ha annunciato che introdurrà una nuova norma che inciderà sul lavoro dei magistrati di sorveglianza, quando devono decidere sulle istanze per i detenuti che si sono macchiati di reati mafiosi. Nel frattempo Bonafede ha già scritto al Csm per chiedere di nominare come vicecapo del Dap il magistrato napoletano Roberto Tartaglia, per dieci anni pm a Palermo e ora consulente della commissione Antimafia. Una scelta che non coglie nessuno di sorpresa. Tartaglia è uno dei magistrati che ha imbastito il processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, una tesi che è il caposaldo della retorica grillina. La scelta quindi non è casuale, soprattutto dopo le recenti esternazioni di Nino Di Matteo, membro togato del Csm, che a proposito dei domiciliari ha parlato di uno Stato che si sarebbe piegato alla logica mafiosa. Sono pensieri che sono le basi del teorema giudiziario sulla trattativa. L’allora ministro Giovanni Conso, attenendosi alla sentenza numero 349 del 28 luglio del 1993 della Consulta, non prorogò il 41 bis a 18 mafiosi (su un nominativo di 336 persone). Secondo la tesi giudiziaria sarebbe stato un chiaro patto con la mafia. I pensieri ritornano quando non ci si capacita che esiste la detenzione domiciliare per ragioni di salute dell’art.47-ter, comma 2 bis, il quale prevede una forma di detenzione domiciliare per qualsiasi titolo di reato senza limiti di tetto di pena con un sistema "a termine" imperniato sullo stato di avanzamento della malattia legato a successive verifiche da parte del Tribunale di Sorveglianza che l’ha concessa. Traballa anche il posto del capo del Dap Francesco Basentini e si rincorrono nomi di possibili sostituti. Come quello del sostituto procuratore presso la Dda di Napoli, Catello Maresca. Colui che nel 2011 ha tratto in arresto il capo dei casalesi Michele Zagaria e ancor prima il fratello del boss. Ovvero Pasquale, la pietra dello scandalo dei domiciliari. Tra i papabili c’è anche Giovanni Melillo, il Procuratore della Repubblica di Napoli. Tra i nomi del possibile avvicendamento c’è anche il magistrato Sebastiano Ardita, consigliere del Csm. Resta il fatto che le accuse nei confronti del capo del Dap sono del tutto prive di fondamento. Soprattutto quelle avanzate da Giletti, permettendogli di non rispondergli come si deve. Il Dap ha poco a vedere con l’assistenza sanitaria. Quest’ultima è garantita dal ministero della Salute. Tutti i programmi di controllo sono gestiti appunto dal sistema sanitario nazionale, anche per la gestione degli interventi predisposti nell’ambito delle misure alternative, sia che riguardino l’affidamento ad un servizio di cura, ivi comprese le Comunità terapeutiche, sia nel caso degli arresti domiciliari. Così come, le aree sanitarie interne. Infatti è compito del ministero della Salute (a sua volta regioni e Asl di competenza) garantire che nei centri clinici ci siano, compatibilmente con le misure di sicurezza, condizioni ambientali e di vita rispondenti ai criteri di rispetto della dignità della persona. Non tutte le patologie, tra l’altro, sono compatibili con i centri clinici delle carceri. Motivo per il quale si verifica il ritardo nel dare il nulla osta al Dap. Tanti, troppi detenuti muoiono in carcere a causa di patologie mal curate, oppure diagnosticare troppo tardi. Ma nessuno si indigna e non ci sarà nessun Giletti a parlarne. Le indignazioni e le invocazioni di dimissioni arrivano soltanto quando un detenuto esce proprio per evitare la morte.