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Rems
C’è il rischio di un ritorno alla logica manicomiale? Il 26 maggio la Consulta dovrà esaminare la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Gip di Tivoli con l’ordinanza dell’11 maggio dello scorso anno. In sostanza, se dovesse essere accolta, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) passerebbero sotto la gestione del ministero della Giustizia e non più di quello della Salute. Cosa significherebbe? Il ritorno alla presenza della polizia penitenziaria nelle Rems, abolendo anche il numero chiuso e provocando, quindi, il sovraffollamento come in carcere. Per essere ancora più precisi, ciò snaturerebbe la Legge 81 (quella che ha superato gli ospedali psichiatrici giudiziari) che prevede, tra l’altro, il ricorso alle misure di sicurezza nelle Rems come estrema ratio. Il Gip di Tivoli critica la gestione esclusivamente sanitaria delle Rems L’ordinanza del Gip di Tivoli critica la gestione esclusivamente sanitaria delle Rems e ricollega ad essa le inefficienze, presenti in alcune Regioni d’Italia, legate all’assenza dei posti nelle strutture e alle lunghissime liste d’attesa. Le criticità poste sono reali, ma la soluzione riporta al passato. La Consulta, quindi, il 26 maggio dovrà esaminare l’ordinanza del Gip di Tivoli che ha sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale degli art. 206 e 222 del codice penale e dell’art. 3 ter del D.L. n. 211/2011 (come modificato in sede di conversione in L. 9/2012 e con la successiva L. n. 81/2014) in relazione agli articoli 27 e 110 della Costituzione nella parte in cui sanciscono la competenza esclusiva di Regioni e organi amministrativi in materia di misura di sicurezza detentiva del ricovero presso le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza sottraendola al ministro della Giustizia, e agli articoli 2, 3, 25, 32 della Costituzione nella parte in cui consentono con atti amministrativi l’adozione di disposizioni generali in materia di misure di sicurezza. Il caso specifico di un uomo affetto da un grave disturbo di psicosi schizo-affettiva La questione in esame, parte da un fatto drammatico. Un uomo, con gravi turbe psichiche, era stato indagato per aver minacciato, in più di una occasione, il sindaco del suo paese per costringerlo a compiere un atto dell'ufficio e in particolare per indurlo a garantirgli la consegna di buoni alimentari. In una occasione aveva detto al sindaco: «te meno perché se te do 'na pizza, il primario dove stavo m'ha detto che c'ho ragione» e inoltre in un’altra occasione ha tentato di aggredirlo nel suo ufficio per poi lanciargli contro un cartoccio di vino senza colpirlo. In sostanza, l’uomo risultava affetto da un grave disturbo di psicosi schizo-affettiva con tratti antisociali e dedito al sistematico abuso di alcolici. È stato quindi riconosciuto socialmente pericoloso e quindi gli hanno applicato in via provvisoria la misura di sicurezza presso una Rems. Ma, come spesso accade, la misura non gli è stata eseguita per la mancanza di disponibilità all’accoglienza delle strutture presenti sul territorio regionale. A questo si è aggiunto il fatto che è impossibile trasferirlo presso le Rems di altre regioni, perché viola il principio cardine di territorialità delle cure. Problemi, com’è detto, reali, ma il Gip solleva la questione di legittimità costituzionale, «in relazione agli artt. 27 e 110 Cost. nella parte in cui attribuendo l’esecuzione del ricovero provvisorio presso una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) alle Regioni e agli organi amministrativi da esse coordinati e vigilati, escludono la competenza del ministero della Giustizia in relazione all’esecuzione della detta misura di sicurezza detentiva provvisoria nonché nella parte in cui consentono l’adozione con atti amministrativi di disposizioni generali in materia di misure di sicurezza in violazione della riserva di legge in materia, rispetto a quanto previsto dagli artt. 2, 3, 25, 32 e 110 Cost.» In discussione il principio cardine che supera la logica manicomiale Il Gip di Tivoli, attraverso l’ordinanza, reclama dunque il ripristino della competenza in capo al ministro della Giustizia in relazione all’esecuzione della misura di sicurezza detentiva, nel caso di specie provvisoria, per malati psichiatrici autori di reato. Di fatto mette così in discussione il principio cardine che supera la logica manicomiale: ovvero l’esclusiva gestione sanitaria delle Rems, affidate esclusivamente alla sanità pubblica regionale, senza alcun potere decisionale o organizzativo del ministero della Giustizia; le ridotte dimensioni per evitare l’ “effetto-manicomio”: la capienza massima di ogni Rems non deve superiore ai 20 posti. Una dimensione assimilabile a quella delle comunità terapeutiche, ma superiore a quella dei Servizi psichiatrici di Diagnosi e Cura (Spdc) ospedalieri.La sfida, invece, dovrebbe essere quella di una tendenziale abolizione del “bisogno” di Rems. Da questo punto di vista, - come si legge nel rapporto di Antigone - «quello dei folli-rei, insieme a quello dei minori autori di reato, potrebbero diventare i primi due campi dell’esecuzione penale su cui sperimentare l’assenza».