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Rems
Ha finito di scontare i 30 anni di carcere nel 2015, il giudice lo ha ritenuto ancora socialmente pericoloso e lo ha “internato” in una Rems (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza). Siamo nel 2021 e di recente la magistratura di sorveglianza gli ha prorogato nuovamente la misura di sicurezza. Parliamo di Luigi Chiatti, conosciuto come il “mostro di Foligno”, l’autore del duplice omicidio di due bambini avvenuto a Foligno tra il 1992 ed il 1993. Le Rems hanno la caratteristica della transitorietà Abbiamo preso questo esempio, ma ce ne sono diverse di situazioni simili, per porre un problema: più passa il tempo e più aumenta il rischio che verrà meno uno dei capisaldi della legge 81/2014 che superò i famigerati ospedali psichiatrici giudiziari. Quale? La necessaria transitorietà della Rems.La questione è stata affrontata recentemente anche dall’ultimo rapporto di Antigone “Oltre il virus”, nel quale si sottolinea come le Rems, nelle intenzioni del legislatore e delle buone pratiche, devono invece diventare “tappe” di un percorso progressivo (la c.d. progressività terapeutica). L’aumento della durata dei ricoveri fotografa un rischio di trasformazione delle Rems in “cronicari”, dove la durata del ricovero non dipende affatto dalle condizioni di salute il ricovero si allunga per il solo fatto che non si riescono a trovare soluzioni altre, con la conseguenza di allungare le liste d’attesa (numerosi sono in attesa dentro il carcere) e “negare” il posto in Rems a persone ancora nella fase acuta della loro patologia. La durata media di un ricovero in Rems è di 236 giorni D’altronde, altro dato analizzato, al 30 novembre 2020 la durata media del ricovero in Rems è di 236 giorni, tre anni fa, nel 2017 era di 206 giorni. Una crescita costante che rischia di far riemerge nuovamente il fenomeno dell’ergastolo bianco. I soggetti a rischio sono coloro che hanno finito di scontare la lunga pena per gravi delitti legati alla loro psiche, ma rischiano di essere parcheggiati a vita nelle Rems perché i giudici non si vogliono assumere la responsabilità di indicare dei percorsi di uscita. Il problema dei senza fissa dimora Ma poi ci sono anche chi è senza fissa dimora, privato di affetti e legami familiari, soprattutto quando il territorio non è in gradi di prenderseli a carico.La legge 17 febbraio 2012, n. 9 e la legge 30 maggio 2014, n. 81 hanno rappresentato gli ultimi tasselli legislativi di un lungo processo normativo – e culturale – che ha attraversato oltre un secolo di storia del nostro Paese ed è culminato il 1° aprile 2015 con l’apertura delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) e la definitiva chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg). I principi che informano l’attuale disciplina in materia di ricovero in Rems sono: la priorità delle esigenze di cura e l’esclusiva gestione sanitaria delle strutture; la residualità (extrema ratio rispetto all’applicazione di altre misure) e la transitorietà della misura di sicurezza detentiva; la territorialità delle cure (nel senso che la presa in carico dei servizi di salute mentale deve evitare lo sradicamento del malato psichico dal proprio territorio); la centralità del progetto terapeutico individualizzato (la cui assenza, per espressa previsione, non può fondare il perdurante giudizio di pericolosità sociale). Il rischio è che tutto questo rimanga sulla carta, mentre di fatto esistono situazioni che potrebbero smentire la buona intenzione delle leggi.Ritorniamo nuovamente all’ultimo rapporto di Antigone. Viene messo in evidenza un’altra criticità legata al tema della durata dei ricoveri. Parliamo della questione del “dopo-Rems”. Cosa succede quando termina la fase acuta del ricovero e il paziente è pronto a lasciar e la struttura? Rapporto di Antigone: dei 172 dimessi nel 2020 solo uno è andato agli arresti domiciliari I dati elaborati da Antigone ci dicono che il “ritorno in libertà” è un’ipotesi sostanzialmente mai presa in considerazione dai giudici: dei 172 pazienti dimessi dalle Rems nel corso del 2020 (fino al 30 novembre) solo uno è andato agli arresti domiciliari, mentre per il 72% dei pazienti dimessi (154) vi è la trasformazione della misura in libertà vigilata o l’applicazione della licenza finale di esperimento. Ribadiamo il concetto. Le dimissioni dalla Rems giocano un ruolo particolarmente significativo: quest’ultime sono parte integrante del percorso terapeutico dei soggetti ricoverati e, allo stesso tempo, rivestono un ruolo centrale a livello sistemico. Il turnover dei pazienti, infatti, è uno dei termometri per misurare la buona riuscita della riforma, rappresentando uno dei punti di discontinuità rispetto al sistema che si era determinato nell’era degli Opg. Non sempre, però, accade. E allora ritorniamo a Luigi Chiatti: non può rimanere a vita dentro una Rems, altrimenti la struttura rischia di diventare un mini Opg. Un problema dove inevitabilmente bisogna farci i conti. Anche se abbiamo davanti dei “mostri”.