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«Non potrà non subire medesima sorte», dichiara il professore Giovanni Cordini, ordinario di Diritto pubblico comparato all’università di Pavia, a proposito dell’articolo 237 del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, che disciplina “obblighi di polizia giudiziaria e doveri connessi con la dipendenza gerarchica”.
“Indipendentemente - questo il testo della norma - dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale, i comandi dell’Arma dei carabinieri competenti all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, danno notizia alla scala gerarchica della trasmissione, secondo le modalità stabilite con apposite istruzioni del comandante generale dell’Arma dei carabinieri”.
L’articolo in questione, contenuto nel decreto 90 del 15 marzo 2010, può essere considerato il “padre” dell’articolo 8 comma 5 del decreto legislativo 177 del 2016, recentemente dichiarato incostituzionale dalla Consulta. “I vertici delle Forze di polizia - recita la norma bocciata dalla Corte costituzionale - adottano istruzioni affinché i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettano alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”. Praticamente due norme sovrapponibili quanto al dettato letterale e al merito.
«In casi del genere – prosegue il professor Cordini – la norma va disapplicata dai destinatari della norma stessa. Non è necessario attendere che il legislatore, in questo caso il presidente della Repubblica, provveda a modificarne il testo in aderenza al dettato costituzionale». Secondo la Consulta - la sentenza sarà depositata nei prossimi giorni - la disposizione «è lesiva delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero, garantite dall’articolo 109 della Costituzione». Sotto i riflettori dei giudici è dunque «la specifica disciplina della trasmissione per via gerarchica delle informative di reato, pur riconoscendo le esigenze di coordinamento informativo poste a fondamento della disposizione impugnata meritevoli di tutela».
Il procuratore di Bari Giuseppe Volpe, colui che sollevò il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, interpellato sul punto dal Dubbio, ha affermato che «bisognerà comunque attendere le motivazioni della sentenza per comprendere l’iter interpretativo dei giudici costituzionali prima di esprimere giudizi».
Quando venne approvata la norma nel 2016, furono molte le voci critiche. Il Csm dedicò alla discussione del parere sul testo un intero Plenum. Si era nel pieno dell’indagine “Consip”, condotta dal Noe dei carabinieri coordinati dal pm napoletano Henry John Woodcock. A causa di questa disposizione, si disse, venne svelato il contenuto dell’indagine ai vertici della centrale acquisti della Pa. A posteriori si può però affermare che tale norma non avrebbe cambiato di una virgola quanto già previsto per i carabinieri circa il dovere di informare i propri superiori. Se poi i vertici dell’Arma, iniziando dall’allora comandante generale Tullio Del Sette, come ipotizzato dalla Procura di Roma, avvertirono i capi di Consip, lo deciderà il gip della Capitale nelle prossime settimane pronunciandosi sulla richiesta di rinvio a giudizio per favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio.