In un recente incontro con Alan Mitchell, presidente del Comitato Prevenzione Tortura del Consiglio d'Europa, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha presentato una narrativa rassicurante sullo stato delle carceri italiane che non corrisponde alla realtà, purtroppo drammatica, dei fatti.

Il guardasigilli ha posto l'accento sul piano di “razionalizzazione e ammodernamento” del patrimonio edilizio carcerario, celebrando la creazione di oltre mille nuovi posti detentivi. Tuttavia, questa visione si scontra frontalmente con le raccomandazioni del Cpt stesso, che ha ripetutamente sottolineato come la costruzione di nuove strutture carcerarie non rappresenti una soluzione sostenibile al sovraffollamento. Il Cpt, infatti, propone un approccio radicalmente diverso: il ricorso al carcere come extrema ratio, privilegiando invece misure alternative alla detenzione.

Particolarmente stridente appare l'autocompiacimento del ministro riguardo all'assenza di suicidi negli Ipm, quando perfino il recente rapporto Onu ha evidenziato discriminazioni sistemiche nei confronti dei minori stranieri. Il documento internazionale denuncia come questi ultimi subiscano sistematicamente misure più restrittive rispetto ai coetanei italiani, indipendentemente dalla gravità dei reati commessi. Questa disparità di trattamento non solo viola i principi fondamentali di equità, ma contribuisce anche all'aumento delle carcerazioni. Il ministro, inoltre, non può trascurare il fatto, ben documentato dal rapporto di Antigone, che per la prima volta le carceri minorili registrano un sovraffollamento, rovinando ciò che prima era un esempio virtuoso di cui il nostro Paese poteva andare fiero.

Mentre il ministro Nordio parla di ammodernamento, il recentissimo rapporto Onu descrive una realtà ben diversa: strutture obsolete con problemi basilari come l'inadeguatezza dell'approvvigionamento idrico, temperature insostenibili in estate e mancanza di acqua calda in inverno. Condizioni che, nelle parole degli esperti Onu, “possono costituire una grave forma di maltrattamento, se non addirittura di tortura”. Il sistema mostra particolare inadeguatezza nel trattamento delle persone tossicodipendenti. La mancanza di continuità terapeutica tra servizi esterni e interni, unita all'insufficienza dei programmi di riduzione del danno e riabilitazione, evidenzia come l'approccio carcerario sia inadeguato per affrontare questioni di salute pubblica. Un altro aspetto critico, completamente ignorato dal ministro, riguarda l'accesso ai servizi per i detenuti stranieri. La carenza cronica di traduttori e mediatori culturali non solo ostacola l'accesso alle cure mediche, ma compromette anche il diritto alla difesa per i detenuti in attesa di giudizio.

Se è vero che il ministero ha aumentato i fondi per il supporto psicologico ( da 4,5 a 14,5 milioni di euro), i numeri dei suicidi in carcere rimangono allarmanti: 76 casi solo nel 2024.

Questi dati suggeriscono che l'approccio attuale, basato principalmente sull'incremento delle risorse economiche, non sta producendo i risultati sperati. Particolarmente problematica appare la narrazione del ministro sul regime del 41- bis. Nordio lo presenta come fedele all'idea originaria di Giovanni Falcone, ma la realtà storica racconta altro: se l'intento iniziale era quello di impedire le comunicazioni tra boss detenuti e organizzazioni criminali, nel corso dei decenni il regime è stato trasformato in uno strumento di ulteriore afflizione, ben oltre lo scopo preventivo originario.

L'incontro tra il ministro della Giustizia Nordio e il Comitato Prevenzione Tortura del Consiglio d'Europa rivela un preoccupante scollamento tra la narrativa ministeriale e la realtà documentata da organismi internazionali. Mentre il ministro presenta un quadro di progressi e riforme, i rapporti dell'Onu e del Cpt descrivono un sistema carcerario in profonda crisi, dove le violazioni dei diritti umani sono sistematiche e le soluzioni proposte sembrano ignorare le raccomandazioni internazionali. È evidente la necessità di un cambio di paradigma che metta al centro i diritti umani e le alternative alla detenzione, abbandonando l'illusione che la costruzione di nuove carceri possa risolvere problemi strutturali del sistema penitenziario italiano.