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Che a Siracusa ci fosse un verminaio il Csm lo aveva accertato poco meno di un anno fa. La lista dei protagonisti, nel vortice dei veleni in Procura, includeva già Giampaolo Longo, l’ex pm dell’ufficio inquirente siciliano ( da luglio trasferito a Napoli come giudice nella sezione distaccata di Ischia) arrestato martedì scorso con accuse di corruzione e falso, in un quadro da associazione a delinquere. Secondo il gip di Messina Maria Vermiglio, il collega sarebbe il perno della presunta cricca che vedrebbe coinvolti imprenditori, avvocati e appunto magistrati, e che avrebbe depistato indagini per favorire, in particolare, i clienti del legale di Eni Piero Amara.
Non c’era solo Longo, nell’elenco dei cattivi finito già a maggio scorso nel mirino di Palazzo dei Marescialli, in parallelo con i primi passi dell’inchiesta di Messina: con lui anche il capo della Procu- ra siracusana, Francesco Paolo Giordano, e un altro sostituto, Maurizio Musco, protagonista a sua volta di un primo “ciclo” di intricatissime vicende relative allo stesso ufficio inquirente e già condannato in via definitiva per il reato di abuso.
È fissato per oggi alle 13.30, nel carcere di Poggioreale a Napoli, l’interrogatorio di garanzia per Longo. Dovrà rispondere alle contestazioni mossegli nell’ordinanza del gip di Messina: sarebbe stato al soldo degli interessi di Amara, con una «mercificazione» della propria attività di pm. Avrebbe acquisito informazioni utili ai suoi sodali attraverso l’apertura di fascicoli sui reati attribuiti agli imprenditori clienti dell’avvocato presunto correo. Ma la ricostruzione dei fatti non si annuncia semplice. Perché appunto molte delle attività illecite con cui l’ex sostituto di Siracusa avrebbe approfittato della propria funzione riguardano proprio le vicende attorno alle quali si è scatenata la guerra tra toghe monitorata l’anno scorso dal Csm, in seguito alla quale Longo ha chiesto e ottenuto il trasferimento d’ufficio.
Il difensore del magistrato, Bonny Candido, contesta intanto «la sproporzione della misura cautelare», la custodia in carcere, «anche tenuto conto del fatto che il mio assistito da diversi mesi non svolge più funzioni inquirenti». Secondo l’avvocato Candido dunque, «l’ordinanza non può non essere carente dei requisiti di attualità e pericolo di reiterazione di reati». Ma la difesa segnalerà nel corso dell’interrogatorio anche un altro aspetto: «Pochi giorni fa Longo ha presentato alla Procura di Messina due corpose e circostanziate denunzie sui fatti oggetto del procedimento in questione che avrebbero dovuto essere approfondite prima di chiedere e disporre la misura», dice il difensore del magistrato. Si tratta delle ricostruzioni fatte dall’ex pm di Siracusa sui conflitti insorti nell’ufficio in cui ha lavorato fino a meno di un anno fa. Una tensione in cui non si sono risparmiati colpi, e che ha spinto altri otto magistrati a presentare l’esposto al Csm e alla Procura di Messina ( competente per i reati commessi dai colleghi di Siracusa), da cui si è sviluppata l’inchiesta sui presunti depistaggi. Al centro dei veleni c’era anche il fascicolo aperto da Longo per indagare sul presunto complotto ai danni dell’ad dell’Eni Claudio Descalzi, ma non solo. Si trattava anche di affari che vedevano coinvolta l’amministrazione cittadina di Siracusa. Non a caso il sindaco Gancarlo Garozzo ieri ha ricordato con perfidia «l’impegno» di Longo nei confronti della sua giunta. Dal porto di Augusta agli appalti comunali, dai servizi di gestione delle risorse idriche ai rifiuti, i fascicoli maneggiati dall’ex pm toccavano non solo gli interessi dell’Eni, ma anche quelli della politica locale. Ed è questa l’altra faccia dell’intreccio che oggi Longo proporrà al giudice nell’interrogatorio.