Attualmente risultano 21 bambini che vivono in carcere con le loro 18 madri detenute. Gli infanti detenuti insieme alle loro madri sono ospitati in luoghi differenti, a volte molto diversi tra loro. Così come non mancano casi di detenute incinta che hanno perso il loro bambino. Tutto ciò mentre la maggioranza vuole modificare proprio quella legge che tende a tutelari le donne in gravidanza.

Gli ambienti in cui vengono collocati i bambini di detenute possono essere suddivisi in tre principali categorie. La prima e più numerosa categoria è rappresentata dagli Istituti a Custodia Attenuata per Madri (Icam). Questi istituti sono stati pensati per accogliere donne incinte o con figli sotto i sei anni, quando il giudice valuta compatibile questa soluzione con le esigenze cautelari. Attualmente, in Italia sono operativi quattro Icam, ognuno con caratteristiche specifiche.

L'Icam di Lauro ( Avellino), il più grande e capiente, funziona come struttura autonoma pur essendo formalmente una sezione distaccata della Casa Circondariale di Avellino, con cui condivide la direzione. Al momento ospita 4 bambini. L'Icam di Milano, che accoglie 6 bambini, è situato in un edificio separato, lontano dal centro città, ma rimane sotto l'amministrazione della Casa circondariale di San Vittore. L'Icam di Torino, con i suoi 5 bambini, si trova all'interno del complesso penitenziario Le Vallette, ma in una palazzina indipendente. Infine, l'Icam di Venezia, che ospita 2 bambini, è collocato all'interno del carcere femminile, in una sezione separata dalle altre aree. Nonostante gli Icam siano progettati per offrire un ambiente il più confortevole possibile, è fondamentale sottolineare che rimangono strutture detentive.

La seconda categoria di luoghi che ospitano donne detenute con figli a seguito non comprende istituti appositamente dedicati, bensì aree specifiche all'interno di istituti penitenziari ordinari.

L'ordinamento penitenziario italiano prevede infatti che una madre detenuta possa decidere di tenere con sé il proprio bambino in carcere fino al compimento del terzo anno di età. Gli spazi adibiti a questo scopo sono le cosiddette “sezioni nido”, piccole aree detentive collocate all'interno dell'istituto e teoricamente progettate per offrire un ambiente più adatto alle esigenze dei bambini.

Queste sezioni dovrebbero essere dotate di strutture e servizi specifici, come aree gioco, personale specializzato e assistenza pediatrica. Un esempio significativo è il nido della Casa Circondariale femminile di Rebibbia a Roma, dove attualmente sono presenti due bambini.

Nonostante gli sforzi per creare un ambiente più adeguato, queste sezioni rimangono comunque parte integrante di un istituto penitenziario, con tutte le limitazioni che ciò comporta.

La terza e ultima categoria è rappresentata da luoghi all'interno del carcere non originariamente pensati per i bambini, ma adattati in modo approssimativo per accoglierli. Si tratta di reparti femminili che non dispongono di vere e proprie sezioni nido, ma solo di alcuni ambienti (spesso limitati a una singola stanza) dove vengono collocate le donne con i figli a seguito. Questi spazi improvvisati mancano generalmente delle strutture e dei servizi necessari per garantire un'adeguata crescita e sviluppo dei bambini.

Entrambi le categorie rimangono comunque strutture detentive, seppur attenuate. Una questione che potrebbe essere risolta velocemente, così come prevedeva la proposta di legge, affossata, dell'ex parlamentare del Partito democratico Paolo Siani e riproposta dalla deputata dem Debora Serracchiani.

Basterebbe l'esclusivo utilizzo delle case famiglia protette, affidate ai servizi sociali e agli enti locali: ce ne sono soltanto due, una a Roma e l'altra a Milano.

Ma tutto rischia di peggiorare con il “ddl sicurezza”, ossia il Disegno di legge n. 1660/ C recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario”. Il ddl contiene l’emendamento della Lega volto a modificare la normativa attuale che prevede l'obbligo del rinvio della pena, anche per le madri incinte e che hanno un figlio di età inferiore a un anno.

Nonostante la legge attuale (che la maggioranza intende modificare), si sono verificati casi di donne incinte detenute. Secondo l'ultimo rapporto dell'associazione Antigone, al 31 dicembre 2023 risultavano 12 detenute in stato di gravidanza. Tra questi casi, particolarmente drammatico è stato quello di una ventiseienne che all'inizio di marzo 2024 ha perso il proprio bambino nel carcere di Sollicciano a Firenze a causa di complicazioni della gravidanza.

Purtroppo, non si tratta di un caso isolato. Eventi simili si sono verificati nel luglio 2022, quando una donna ha perso il bambino dopo essersi sentita male nell'istituto milanese di San Vittore, e nel marzo 2019 a Pozzuoli. A Rebibbia, nell'agosto 2021, una donna ha partorito improvvisamente nella propria cella con il solo aiuto della compagna di stanza.

Nonostante ciò, la maggioranza, tramite il decreto sicurezza, vuole abolire il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena per le donne in gravidanza.