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I beni di Mario Giuseppe Scinardo non erano di provenienza illecita. A stabilirlo, 14 anni dopo il primo sequestro, è stata la Corte d’Appello di Catania, che ha annullato una confisca per beni pari a circa 200 milioni di euro a carico del “re dell’eolico”. Beni che una sentenza della Cassazione aveva ricondotto alle “amicizie” di Scinardo con i membri di Cosa Nostra, ma che ora dovranno essere restituiti. La decisione della Corte d’Appello è arrivata ieri, con l’accoglimento della richiesta di annullamento avanzata dagli avvocati Giampiero Torrisi, Enzo Trantino e Francesco Antille, stabilendo, dunque, la restituzione di circa 230 beni immobili, aziende agrituristiche e vinicole, impianti di calcestruzzo e circa 90 mezzi, tra camion, escavatori, trattori, mezzi agricoli ed autovetture di grossa cilindrata. Dopo una prima condanna a 12 anni per associazione mafiosa nel 2014, nel 2017 la sentenza era stata riformata con una condanna a 7 anni per concorso esterno al al clan della famiglia "Santapaola-Ercolano". Secondo la magistratura, Scinardo operava «“in condizioni, se non proprio di monopolio, certamente di grande privilegio, imponendosi sul territorio”, dal momento che era l'associazione a procurargli i lavori e che gli stessi erano eseguiti in sinergia con soggetti all'associazione appartenenti», considerazioni considerate valide «anche nella ritenuta ipotesi del concorso esterno, nella quale il rapporto sinallagmatico tra l'imprenditore e l'associazione mafiosa costituisce il fulcro dell'ipotesi delittuosa». Gli stessi beni oggetto della confisca disposta con la sentenza del 2014 erano stati oggetto di confisca già nel 2009, divenuta definitiva nel 2012. La Dia lo aveva allora indicato come uomo di fiducia del capo della mafia mistrettese, Sebastiano Rampulla, morto nel 2010, fratello di Pietro, condannato in quanto artificiere della strage di Capaci. Accuse poi smontate dal Tribunale di Patti, che lo ha assolto dall'accusa di associazione mafiosa perché il fatto non sussiste, pronuncia rispetto alla quale l’accusa aveva rinunciato all’appello. «I giudici del Tribunale di Messina e Patti e poi, su appello del pubblico ministero, quelli della Corte di Messina - avevano sottolineato nel 2014 i legali di Scinardo - hanno scolpito l'assoluta liceità dei patrimoni allora sotto esame, confermando una semplice conoscenza da generazioni perché cresciuti nello stesso territorio». Le successive indagini a suo carico avevano però affermato una seconda volta la provenienza illecita di quei beni, tesi ribaltata ora dalla Corte d’Appello, secondo cui con il patrimonio di Scinardo nulla c’entrerebbe la vicinanza a famiglie mafiose. «Oggi credo sia il giorno più bello della mia vita - ha commentato su Facebook, dopo la sentenza, il nipote Marco Scinardo -. Dopo 14 anni di sofferenti battaglie, giustizia è stata fatta. Sono stati dimostrati i sacrifici di una vita. Non arrendetevi mai. Non ci sarà mai sconfitta nel cuore di chi lotta».