Ci si perde nei numeri. Sono settantasette o ottantacinque i detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno? Non è una differenza trascurabile: i numeri esatti contano. Non per una sterile precisione statistica, ma per un imprescindibile rigore morale. Otto vite in più non sono un dettaglio: sono otto universi spezzati che chiedono attenzione, che rifiutano l’oblio dell’approssimazione.

Il Garante nazionale parla di 77 morti. Ristretti Orizzonti ne conta 85. E in un’intervista su Il Foglio, il ministro Nordio non obietta alla domanda che fa riferimento a 83 suicidi. Quindi, sono 77, 83 o 85? Al di là della cifra esatta, il ministro insiste che non esiste alcun legame tra i suicidi e il sovraffollamento carcerario. Una posizione che Rita Bernardini, di Nessuno tocchi Caino, ha contestato pubblicamente con un post su Facebook, sottolineando come lo stesso Garante nazionale – figura disegnata dal governo – smentisca il guardasigilli.

Nel rapporto del 25 novembre, il Garante osserva che «è ipotizzabile che all’aumentare del sovraffollamento si possa associare un aumento degli stessi (eventi critici), in particolare di quegli eventi critici che, più di altri, sono espressione del disagio detentivo, quali atti di aggressione, autolesionismo, suicidi, tentativi di suicidio, omicidio, aggressioni fisiche al personale di Polizia Penitenziaria e al personale amministrativo» (pagina 21). Questa analisi comparativa, basata su dati concreti, mette in luce un legame profondo tra la condizione delle carceri e il dramma umano che si consuma al loro interno.

Yousef Hamga, 19 anni. Giuseppe Santolieri, 74 anni. Maria Assunta Pulito, 64 anni. Dietro ogni nome c’è una vita, una storia che va oltre la somma dei numeri. Ma quei numeri, per quanto freddi, raccontano qualcosa di essenziale.

Ogni cifra ha un peso, perché è la misura di un dramma collettivo, la fotografia di un sistema che non funziona. Non è solo contabilità: è memoria, è giustizia. Non basta sapere che qualcuno è morto. Occorre sapere chi, quando e perché. Dietro ogni numero c’è un volto e quei volti meritano di essere chiamati per nome. Non possiamo permettere che restino anonimi, che il loro passaggio si perda nel disordine di statistiche imprecise. Serve la precisione. Serve sapere quante vite si sono infrante, quante speranze si sono schiantate contro le mura di un carcere.

Otto vite, otto epiloghi drammatici, in poche settimane. Cristian Francu, 51 anni, è l’ultimo della lista. È morto il 28 novembre, nell’ospedale di Perugia, dopo essersi lanciato dalla finestra del carcere di Terni. Prima di lui, un detenuto di 46 anni è morto il 27 novembre nella casa circondariale di La Spezia: si è impiccato, così come G. O., 27 anni, il 26 novembre, a Cagliari. Benito Viscovo, 28 anni, si è spento il 21 novembre, a Napoli Poggioreale.

Moussa Ben Mahmoud, della stessa età, è morto il 15 novembre, a Genova Marassi. T. M., un uomo marocchino di 41 anni, è morto il 5 novembre a Venezia. Vincenzo Bellafesta, 53 anni, il 2 novembre a Santa Maria Capua Vetere. Dietro ogni numero c’è un volto. E dietro ogni volto, una storia. Per rispettare quelle storie, non possiamo permetterci approssimazioni. Non è una differenza da poco. Se il numero pubblicato da Ristretti Orizzonti fosse confermato, avremmo superato ogni triste record: la peggiore ecatombe di suicidi degli ultimi trent’anni.