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Cambia lo scenario, ma la protagonista è sempre la Dia di Palermo e le sue indagini. Si tratta sempre di un funzionario, ma in questo caso non identificato. È nel corso di un’intercettazione ambientale che Massimo Ciancimino riferisce al suo interlocutore che un uomo della Dia lo avrebbe messo in allerta, perché intercettato da un’altra Procura. Non sappiamo se su tale circostanza qualche autorità giudiziaria abbia ritenuto di indagare per verificarne l’attendibilità. Questa volta infatti non si tratta di una intercettazione relativa al caso Montante, ma di un’indagine realizzata nei confronti di Massimo Ciancimino dal Nucleo Operativo Ecologico de L’Aquila per conto della Procura di Roma. Ciancimino è il testimone - chiave nel processo Stato- mafia. Il giurista Giovanni Fiandaca, nel suo recente saggio che decostruisce la sentenza sulla trattativa, scrive: «Mentre i pubblici ministeri hanno puntato come “teste chiave” della trattativa sul dichiarante Massimo Ciancimino ( figlio di don Vito, ex sindaco di Palermo vicino ai vertici mafiosi corleonesi), la Corte è invece arrivata a negarne la complessiva attendibilità».
In pratica Ciancimino mentre è considerato un teste chiave, nel contempo è sotto osservazione per possibili operazioni di riciclaggio delle somme derivanti dal patrimonio accumulato dal padre, ereditato da lui e gestito per suo conto da professionisti. D’altronde nell’ultimo libro a firma dei magistrati Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino, viene riportato: «È proprio l’avvocato Ghiron che, insieme ad altri professionisti, ha aiutato Ciancimino padre, prima, e il figlio Massimo, poi, a nascondere le loro ricchezze spostandole dalla Sicilia alla Svizzera, al Belgio, a Parigi, alle Bahamas fino alla Romania».
Siamo nel 2012 e Massimo Ciancimino parla, via Skype, con Romano Tronci, finito sotto la lente di ingrandimento dagli inquirenti fin dal 1982: era stato direttore generale della De Bartolomeis, una società che realizza impianti per lo smaltimento dei rifiuti. Un’impresa che a suo tempo venne indagata assieme ai Costanzo, quest’ultimi imprenditori non organici alla mafia, ma di cui ne conoscevano i meccanismi e i segreti su tangenti e appalti. Tanto è vero che Falcone - davanti al Csm - si lamentò del fatto che Costanzo venne arrestato a sua insaputa dall’allora consigliere istruttore Antonino Meli. Perché? Falcone lo aveva convinto a collaborare sugli appalti illeciti. Con il suo arresto, si vanificò tutto. I Costanzo poi finiranno sotto il mirino dei Ros nel loro famoso dossier mafia- appalti, fortemente voluto da Falcone e che, in seguito, interessò molto Borsellino.
Ma ritorniamo all’intercettazione del 12 settembre 2012. Ciancimino racconta a Tronci di essere stato sentito dagli uomini della Dia per conto dei Pm. Dice che lo hanno interrogato in merito all’ordinanza del Gip. Gli avrebbero detto: «Ci aiuti abbiamo questo incarico». Morosini, il Gip, aveva rigettato la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Palermo e chiesto ulteriori indagini. Dalle intercettazioni emerge che lo avrebbero trattato bene, così racconta Ciancimino: «perché là parlavamo alla fine di… delle polemiche Ingroia, insomma… non è stato un interrogatorio, diciamo… neanche registrato, molto soft». È tranquillo Ciancimino, dice di non aver fatto nulla di illecito. Tronci stesso, nella chiacchierata via skype, gli chiede: «Ma hanno capito o no che non c’entriamo niente?». Ciancimino gli risponde: «Non gliene fregava un cazzo! Hanno detto… tutto il tempo hanno parlato della mia sicurezza».
Alla fine diventa tutto più chiaro quando Ciancimino dice al suo interlocutore che l’uomo della Dia gli avrebbe detto «ha capito che noi siamo schierati con… tutti quelli che hanno fatto le indagini sulla Trattativa siamo bruciati! … non faremo più carriera!... l’elemento forte è lei… lei ha fatto delle leggerezze! (…) non si esponga a cretinate». L’interrogatorio – stando alle parole di Ciancimino - era diventato una raccomandazione. Poi, sempre secondo il racconto di Ciancimino, l’uomo della Dia gli avrebbe detto anche: «non dia adito a niente (…) gli sto dicendo che adesso le telecamere non sono nostre!». Ciancimino continua spiegando che l’uomo della Dia gli avrebbe detto «insomma c’è qualche altra Procura che vi monitorizza». Un avvertimento a non dare adito a niente, che era indagato da un’altra Procura. Ed era vero. Tutto nasce da una maxi operazione avviata dalla direzione Distrettuale Antimafia in Abruzzo. Gli investigatori stavano scavando sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nella fase della ricostruzione post terremoto, quando pensarono di avere individuato alcuni imprenditori avvicinati per fare degli investimenti in Romania. Le indagini scoprirono l’inizio di una complicata compravendita della società rumena Ecorec, gestore della discarica di Glina, la più grande d’Europa, per 60 milioni di euro a una società del Lussemburgo. Un affare mai andato in porto, che per la pubblica accusa aveva l’obiettivo di evitare confische dell’autorità giudiziaria italiana sui capitali riferibili alla mafia.
In pratica gli inquirenti ritennero di aver trovato tracce del riutilizzo di una parte consistente del famoso tesoro di Ciancimino proprio in Romania, nel redditizio settore dello smaltimento illecito dei rifiuti: fascicolo trasferito per competenza alla Procura di Roma. Si è svolto un processo su questo, poi conclusosi a fine gennaio scorso con una condanna nei confronti di 4 soggetti, tra cui lo stesso Romano Tronci e Victor Dombrovschi. Quest’ultimo, al tempo amministratore della Ecorec, è difeso da Antonio Ingroia, che ha denunciato come le intercettazioni, nate nel corso dell’indagine dei Noe de L'Aquila fossero «pretestuosamente puntate su Massimo Ciancimino, proprio nel momento in cui stava diventando un teste chiave del processo Trattativa». Parliamo di un processo definito in primo grado, per il quale i condannati hanno annunciato il ricorso in appello.
Fatto sta che Ciancimino, stando alle sue parole, sarebbe stato avvisato da un uomo della Dia di essere monitorato da un’altra Procura. Un fatto, se vero, gravissimo. Soprattutto se avvenuto mentre veniva interrogato dalla Dia per gli stessi fatti relativi al riciclaggio. Qualche tempo prima, i magistrati della Procura di Palermo, Roberta Buzzolani e Lia Sava, avevano fatto richiesta di archiviazione del procedimento contro Ciancimino e Ghiron. La richiesta venne però respinta dal Gip Morosini ( poi diventato il titolare dell'udienza preliminare del procedimento sulla presunta trattativa Stato- mafia), il quale aveva obiettato la mancata produzione dell’informativa della Guardia di Finanza, che al contrario evidenziava alcuni elementi significativi in merito alle operazioni di riciclaggio. Lo stesso Gip Morosini scrive nell’ordinanza che Ciancimino e altre persone indagate sarebbero state a conoscenza di fatti rilevanti e coperti da segreto. «Nelle conversazioni intercettate – scrive il gip – i vari interlocutori fanno riferimento a vicende istituzionali non solo italiane, che dovrebbero essere coperte dallo stretto riserbo, dimostrando di conoscere anche nei dettagli ad esempio le dinamiche interne alla magistratura siciliana e l’andamento di inchieste (…)». Sempre il Gip Morosini chiede di non ignorare «una nota della Procura di Caltanissetta riguardante le indagini sulla strage di via D’Amelio», in particolar modo l’esito di una perquisizione effettuata a Milano, negli uffici di Santa Sidoti «definita collaboratrice di Massimo Ciancimino, (...) moglie di Romano Tronci, già coinvolto in altre inchieste per riciclaggio dove figura lo stesso Ciancimino e di cui è stato consulente delle società sequestrate». Durante la perquisizione era stata rinvenuta una scritta: «L’argomento è sempre la strage Falcone- Borsellino legata alla più grossa azienda ecologica in Romania». Una frase, di difficile interpretazione, che avrebbe fatto sussultare gli investigatori. Ciancimino viene di nuovo interrogato e, secondo quanto dice nelle intercettazioni, in maniera soft con l’avviso di essere sotto indagine da un’altra procura.
Le altre due puntate sono state pubblicate il 19 e il 21 marzo