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Aumento delle pene detentive e delle sanzioni disciplinari per ristabilire l’autorità, nelle scuole, nelle piazze, persino nei party danzanti: le politiche del governo per i giovani hanno un sapore chiaramente proibizionista come mostra la pioggia di decreti ad hoc degli ultimi mesi. Una linea che la deputata del Partito democratico Michela Di Biase contesta alla radice, sia dal punto di vista morale che, cifre alla mano, da quello pratico.
Il primo atto del governo Meloni appena insediato è stato il “decreto rave”, si trattava di una necessità per l’Italia?
Su questa vicenda vorrei partire dalla coda, dalle risultanze. Quella che è stata descritta come un’emergenza nazionale, portata in Aula con tanta foga per intervenire contro questi famigerati rave party, si è scontrata con i dati, che invece parlano chiaro: ci sono state appena cinquanta inchieste, otto processi e zero condanne. Queste cifre le ha fornite lo stesso ministro Nordio durante un’interrogazione presentata alla Camera. Per stessa ammissione del governo dobbiamo dedurre che non si trattava affatto di un’emergenza nazionale.
Sulla stessa falsariga è poi arrivato il “decreto Caivano” con conseguenze decisamente più pesanti.
Uno degli aspetti più negativi del decreto Caivano è l’aver in parte minato il nostro sistema penale minorile, che è considerato un’eccellenza nel panorama europeo. Penso in particolare alla possibilità di ridurre l’istituto della messa alla prova, che è una misura fondamentale per il reinserimento dei ragazzi. Un decreto che nasce sull’onda dell’emozione per un fatto di cronaca gravissimo che ha scosso l’opinione pubblica. Anche in questo caso le soluzioni del governo sono state di stampo securitario, con sostanziali aumenti delle pene per i minori. Misure che però non affrontano il problema centrale, occorre al contrario lavorare sul contesto sociale e culturale in cui questi fatti avvengono. Come ha segnalato l’associazione Antigone in un rapporto che è arrivato in Commissione giustizia, il provvedimento Caivano sta portando e porterà in carcere molti più minori rispetto agli anni precedenti causando un sovraffollamento negli istituti di pena minorili come già accade nelle prigioni per gli adulti.
Le violenze e le atrocità subite dai minori nell’istituto Beccaria di Milano, picchiati e insultati dalle guardie carcerarie, sono il sintomo di un problema strutturale nel nostro sistema di detenzione?
Per quei fatti terribili ci sono stati tredici arresti tra gli agenti di polizia penitenziaria più un’altra decina di avvisi di garanzia. Spesso si dimentica che parliamo di minorenni in custodia dello Stato, pensare che dei ragazzini di 15 anni abbiano subito quel tipo di violenze è intollerabile, mi auguro che si faccia luce al più presto su quanto accaduto. Gli istituti di pena minorile devono essere dei luoghi dove i detenuti sono riabilitati alla vita civile, non è possibile considerarli dei ragazzi perduti. La funzione costituzionale del carcere e a maggior ragione quella di un Ipm è il reinserimento sociale.
C’è un problema culturale nella formazione degli agenti di custodia o si tratta di un caso estremo?
No, non credo si possa generalizzare, ho preso l’impegno personale di visitare costantemente le nostre carceri, la polizia penitenziaria che ho incontrato vive ogni giorno delle grandissime difficoltà in un clima complicatissimo a causa di una mancanza di organico drammatica, mai sarò nelle fila di coloro che demonizzano un’intera categoria. Sono sicura che la stragrande maggioranza degli agenti di custodia fa bene il proprio mestiere. Quando però qualcuno commette degli abusi il Governo deve intervenire e risponderne al Parlamento. Per questo motivo abbiamo presentato un'interrogazione parlamentare al Ministro Nordio, mi auguro che venga in Aula al più presto a riferire. Parallelamente abbiamo chiesto in Commissione bicamerale Infanzia e Adolescenza un’indagine conoscitiva per fare luce sulla condizione dei minori in custodia all’interno degli Istituti penali minorili. Lo Stato non può permettersi di abbassare il livello di attenzione sulle condizioni dei minori, specie su coloro che sono reclusi.
Quest’anno le occupazioni dei licei scuole hanno ricevuto una risposta molto dura dal ministero e dai dirigenti scolastici con una valanga di sospensioni e cinque in condotta. È un modo di ristabilire l’autorità come sostengono la premier e il ministro Valditara?
La scuola è il luogo del dialogo e del confronto. Ritengo spropositate le sanzioni contro i ragazzi che hanno occupato. Non voglio demonizzare le presidi e i presidi, però registro che questo governo ha un problema serio con il dissenso, con chi la pensa in modo diverso. Come i giovani che manifestano, che non sono dei pericolosi criminali. Nel rispetto delle regole tutti hanno il diritto di esprimere la propria opinione. Ma soprattutto la “pena”, se così si può dire visto che non parliamo di reati, deve essere commisurata ai fatti. Il ministro Valditara è arrivatoaddirittura ad affermare di voler invertire l’onere della prova per i presunti danni causati dalle occupazioni, ribaltando i principi del diritto. Si sta creando, anche stavolta, un’emergenza che non c’è. Le risorse del ministro siano piuttosto dirottate per contrastare il problema della povertà educativa e della dispersione scolastica, un fenomeno in drammatico aumento soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno.