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Bloccata la riforma dell’ordinamento penitenziario dal Movimento Cinque Stelle, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. I decreti della riforma non potranno accedere alla Commissione speciale e si dovrà aspettare la costituzione delle commissioni ordinarie. Così è stato deciso ieri durante la conferenza dei capigruppo che si è riunita alla Camera, con il voto contrario di Pd e Leu. Molto critico Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti dei detenuti: «È un ' grave stop' quello che arriva sugli schemi di decreti di riforma sulle carceri. Negare un passaggio meramente consultivo finale, che non prevede possibilità di intervento di merito, denota una disattenzione grave rispetto all’ampio mondo di coloro che tale provvedimento da tempo attendono: non si tratta soltanto delle persone in esecuzione penale, si tratta anche di giuristi, magistrati, avvocati, direttori degli istituti, operatori penitenziari di molteplice profilo che hanno dedicato nel tempo intelligenza ed energia nel proporre le linee per una esecuzione penale corrispondente in modo chiaro alla previsione costituzionale». Il tutto mentre al 31 marzo del 2018 siamo giunti a 58.223 detenuti su un totale di 50.613 posti disponibili, con 70 bambini costretti a vivere in cella.
Bloccata la riforma dell’ordinamento penitenziario dal Movimento Cinque Stelle, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. I decreti della riforma non potranno accedere alla Commissione speciale e si dovrà aspettare la costituzione delle commissioni ordinarie. Così è stato deciso ieri durante la conferenza dei capigruppo che si è riunita alla Camera, con il voto contrario di Pd e Leu. Posizione chiarita dal dem Walter Verini: «Consideriamo sbagliata, oltre che grave, la scelta della maggioranza della Conferenza dei capigruppo della Camera di sottrarre all’esame della Commissione Speciale i provvedimenti sulle carceri. La stessa legge di stabilità stanzia risorse per l’applicazione della riforma. Non c’erano e non ci sono motivi seri per ritardare l’approvazione finale della riforma, sollecitata anche da tanta parte dell’avvocatura, dell’associazionismo, del volontariato, della stessa magistratura». Anche Graziano Delrio, presidente dei deputati Pd ha spiegato: «Ho detto in conferenza dei capigruppo che non si può tenere il Parlamento bloccato per settimane, bisogna dare subito vita alle commissioni permanenti. Si acceleri al massimo la formazione delle commissioni possono lavorare indipendentemente dalla formazione del governo e delle trattative che vanno avanti sui giornali».
Sulla decisione della capigruppo è intervenuto anche Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti dei detenuti: «È un ' grave stop' quello che arriva sugli schemi di decreti di riforma sulle carceri. Si tratta di provvedimenti a lungo discussi per più di due anni e con un largo coinvolgimento di operatori e analisti del settore, forze intellettuali, sociali, nonchè ovviamente dei membri del Parlamento della XVII legislatura che hanno approvato un testo di legge delega fedelmente ripreso e a volte anche in modo più ristrettivo dai decreti che attendono l’ultimo for- passaggio». Secondo il Garante «negare un passaggio meramente consultivo finale, che non prevede possibilità di intervento di merito, denota una disattenzione grave rispetto all’ampio mondo di coloro che tale provvedimento da tempo attendono: non si tratta soltanto delle persone in esecuzione penale, si tratta anche di giuristi, magistrati, avvocati, direttori degli istituti, operatori penitenziari di molteplice profilo che hanno dedicato nel tempo intelligenza ed energia nel proporre le linee per una esecuzione penale corrispondente in modo chiaro alla previsione costituzionale». Palma aggiunge che «significa non considerare che proprio tale processo di coinvolgimento e previsione normativa ha determinato una nuova fiducia dell’Europa che, partendo da una prospettiva di sanzione nel 2013 per condizioni detentive irrispettose della dignità della persona, è giunta a riconoscere i passi che l’Italia ha compiuto per sanare tale grave criticità. Con il rischio che si possa riaprire la questione ora che il Parlamento manda un segnale di non volontà di proseguire tale percorso». Il Garante si rivolge quindi al presidente della Camera, ricordando di aver «condiviso» con lui «momenti di discussione proprio all’interno del carcere di Rebibbia nel corso dell’anno passato», affinchè «le forze politiche siano invitate a rivedere l’ordine del giorno della Commissione speciale e a dare la possibilità che l’ultima tappa per l’adozione del provvedimento sia compiuta». I decreti, quindi, saranno visionati dalle commissioni giustizia dei due rami del Parlamento.
Eppure qualcosa già era nell’aria. Durante la mattinata di ieri, a lanciare l’allarme è stata l’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini. «Voci di corridoio parlamentare – aveva avvertito l’esponente radicale da più di due anni in prima fila attraverso continui scioperi della fame per chiedere l’immediata approvazione della riforma - affermano che Lega e M5s stanno manovrando per sottrarre alla competenza della ' Commissione speciale per gli atti di governo' il decreto legislativo sulle misure alternative. Sarebbe un atto dissennato di fronte ad una situazione carceraria al collasso, di sistematica violazione dei diritti umani. Obbligatorio per tutti i democratici – ha auspicato la Bernardini - non arrendersi alla violenza e al degrado». La profezia, purtroppo, si è poi avverata dopo poche ore. Nel primo pomeriggio è stata istituita la Commissione speciale della Camera composta da 40 membri - 14 M5S, 8 della Lega, 7 ciascuno per Pd e Forza Italia, 2 di Fratelli d’Italia, uno ciascuno per Gruppo Misto e Liberi e Uguali –, subito dopo i capigruppo hanno indetto una conferenza per dare l’annuncio che i testi dei decreti attuativi andranno nelle Commissioni giustizia quando saranno costituite. Questo vorrà dire che poi sarà il Consiglio dei ministri del nuovo governo a decidere sulle sorti del decreto – già visionato e licenziato preliminarmente – sulle pene alternative, modifica 4 bis e assistenza sanitaria. Un governo che difficilmente darà il via libera alla riforma visto che con molta probabilità sarà composto da forze politiche contrarie alle modifiche dell’ordinamento penitenziario. Eppure, come ha detto Rita Bernardini, la situazione carceraria è arrivata quasi al collasso e la mancata approvazione della riforma potrebbe riportare la situazione ai tempi della sentenza Torreggiani.
I numeri attuali confermano questo timore. Aumenta il numero dei bambini dietro le sbarre e rimane invariato il sovraffollamento delle patrie galere. Al 31 marzo del 2018, infatti, secondo i dati messi a disposizione dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e pubblicati sul sito del ministero della giustizia, siamo giunti a 58.223 detenuti per un totale di 50.613 posti disponibili. Questo vuol dire che risultano 7.610 detenuti in più. Se considerassimo i numero al 31 dicembre – quando i detenuti in più erano 7.160 - con il passar dei mesi il trend del sovraffollamento è cominciato a crescere. Ma è fisiologico perché il mese di dicembre, periodo natalizio, è quello dove vengono concessi più permessi e quindi il calo, leggerissimo, della presenza era dovuto da una assenza momentamale nea. I numeri del sovraffollamento risulterebbero addirittura maggiori se venissero prese in considerazione l’esistenza di celle ancora inagibili. Situazione ben documentata dal rapporto annuale del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale Mauro Palma: ovvero l’alto numero di camere o sezioni fuori uso, per inagibilità o per lavori in corso, che alla data del 23 febbraio del 2017 erano pari al 9,5 per cento. Cioè parliamo di circa 4.700 posti ancora non disponibili. Maglia nera per quanto riguarda i bambini in carcere. Al 31 marzo, risultano 70 bambini. Ben 10 in più rispetto al mese di febbraio. Un aumento vertiginoso rispetto ai mesi precedenti. Basti pensare che a dicembre ne risultavano 56, mentre a novembre erano 58. Per quanto riguarda l’esecuzione penale esterna, ovvero le misure alternative, lavoro di pubblica utilità, misure di sicurezza, sanzioni sostitutive e messe alla prova, al 31 marzo ne sono state concesse 51.042 volte. Un dato importante ma che andrebbe valorizzato se venisse introdotto quella parte del decreto del nuovo ordinamento penitenziario che punta molto all’estensione delle pene alternative: l’affidamento in prova attualmente viene applicata alle persone che non hanno superato i tre anni di pena, con la riforma la soglia si allargherebbe a quattro. Anche se, grazie alla Corte costituzionale, questo principio è stato esteso. Sì, perché secondo i giudici della Consulta chi deve scontare una pena, anche residua, fino a 4 anni di carcere, ha quindi diritto alla sospensione dell’ordine di esecuzione allo scopo di chiedere e ottenere l’affidamento in prova ai servizi sociali, nella versione ' allargata' introdotta dal legislatore nel 2013. In realtà, la riforma dell’ordinamento risolverebbe anche il problema delle detenute madri con figli al seguito: valorizza la concessione della detenzione domiciliare a donne incinte o madri di minori di 10 anni. Il dramma è che la riforma, visto la decisione di ieri, potrebbe non vedere più la luce.