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Se si pensa a quante volte negli ultimi mesi avvocati e magistrati hanno dovuto sorvolare sull’approssimazione delle forme pur di celebrare in un modo o nell’altro i processi, davvero ci si sorprende di fronte all’ordinanza - la 18283 del 2020 - con cui la sesta sezione civile della Cassazione, lo scorso 3 settembre, ha dichiarato inammissibile un ricorso per «difetto di una valida procura rilasciata al difensore del ricorrente principale». Se si pensa a quante claudicanti videoconferenze sono state fatte passare aule processuali, verrebbe da dismettere ogni fede nel sistema giustizia. La questione è tutt’altro che inedita, nel senso che, come ricorda al Dubbio il presidente dell’Unione nazionale Camere civili Antonio de Notaristefani, «già nel 1982, quando io mi sono iscritto all’abo dei praticanti procuratori, se ne poteva fare esperienza: uno dei nostri tormenti consisteva nello spasmodico sforzo di racchiudere l’atto nel foglio uso bollo in modo che nelle ultime tre righe disponibili potesse iniziare la procura, che se integralmente riportata su un foglio spillato sarebbe stata ritenuta invalida...». In oltre quarant’anni, spiega il leader dei civilisti, «non è cambiato nulla». Anche l’ordinanza del 3 settembre sancisce l’inammissibilità perché “la procura del ricorso era su un foglio aggiunto al medesimo”, oltre che per il difetto di contenere “espressioni incompatibili con il giudizio di legittimità, essendovi il riferimento ad ogni fase e grado, alla possibilità di deferire e riferire giuramento nonché alla chiamata di terzi in causa, alla riassunzione e alla proposizione dell’appello”. Siamo sempre lì.
Ne è derivata una decisione che non solo rende impossibile alla parte di vedersi resa giustizia, ma comporta anche la condanna del difensore a pagare di persona le spese di giudizio relative a compensi, esborsi e accessori di legge, aggravate da un importo pari al doppio di quello dovuto a titolo di contributo unificato. «Non si tratta di cifre poco rilevanti», fa notare de Notaristefani, «è un giudizio di legittimità, siamo dunque nell’ordine delle migliaia di euro. Tutt’altro che piacevole per il collega. Ma credo che per arrivare a una regolazione più equilibrata di simili circostanze si debba considerare ancor di più la condizione del cittadino: davvero può sembrare accettabile che ci si debba vedere esclusi dalla possibilità di avere giustizia perché una procura è non inesistente ma formalmente scorretta?». Il presidente dell’Unione nazionale Camere civili ritiene che «a trovare il punto di equilibrio debba essere anche il legislatore: la sanzione non può tradursi nella negazione dei diritti. In tutti gli altri gradi di giudizio, dinanzi alla forma impropria di una procura, il giudice non condanna immediatamente alcuno, ma ordina al difensore di rimediare, pena conseguenze analoghe a quelle determinate nell’ordinanza del 3 settembre. La forma sacramentale, dinanzi alla Suprema corte, è normativamente imposta secondo un parametro più rigido. Ma fino a che punto il mancato rispetto delle regole formali può compromettere la giustizia sostanziale?».
Certo de Notaristefani non manca di rappresentare tutto il disappunto che «da avvocato» si prova in circostanze simili: «È un dato che quando noi praticanti di quarant’anni fa impazzivamo per una procura spillata, la Cassazione riceveva ogni anno tremila ricorsi. Oggi sono ben oltre 30mila. Sarebbe inutile negare che nella Corte si determini anche una risposta difensiva, di fronte alla montagna di affari da cui è travolta, al punto che la valutazione di ammissibilità diventa una sorta di filtro. Ma mi riporto sempre alla centralità del cittadino e dei suoi diritti, di cui si occuperà tra l’altro anche un confronto organizzato dal Cnf per il 24 settembre, e che auspico sia tra le priorità del nuovo presidente della Cassazione. La forma», ricorda de Notaristefani, «deve essere un mezzo per arrivare alla giustizia sostanziale. Se da mezzo diventa fine, il magistrato si riduce a burocrate. E in ogni caso non si dimentichi mai che dietro un ricorso anche di legittimità può esserci un genitore a cui stano per sottrarre l’affidamento dei figli, un lavoratore licenziato che chiede di ottenere la reintegra o una persona sfrattata dalla casa in cui vive. La dimensione parallela del diritto formale in cui avvocati e giudici sono a volte rinchiusi non può far perdere quella della giustizia sostanziale attesa dai cittadini».