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Sulla Procura di Napoli i riflettori di Palazzo dei Marescialli sono destinati a rimanere accesi ancora a lungo. Archiviate, solo momentaneamente, le polemiche sul caso “Consip”, il Consiglio superiore della magistratura ha infatti deciso di accelerare sulla nomina del capo della Procura partenopea, ormai vacante dallo scorso febbraio da quando Giovanni Colangelo, una delle “vittime” illustri della riforma Madia che aveva abbassato da 75 a 70 anni l’età massima per il trattenimento in servizio delle toghe, era stato costretto - controvoglia - ad abbandonare l’incarico.
Colangelo nel suo discorso di addio aveva espresso giudizi, come si ricorderà, molto duri nei confronti della scelta del governo, che gli avrebbe “impedito di completare i programmi”, accreditando la tesi secondo cui, nel pieno dell’inchiesta Consip che all’epoca sembrava dover travolgere il “Giglio magico” renziano, qualcuno di importante a Roma avesse deciso di sostituirlo.
Le cronache di questi giorni hanno, però, descritto uno scenario molto diverso. Nella Procura di Napoli, per citare il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, sono stati commessi degli “errori” gravi su cui è necessario un “approfondimento”. Non nel modo che avrebbe voluto il consigliere laico Pierantonio Zanettin, cioè con l’apertura di una pratica in Prima commissione per verificare se a carico dei pm napoletani potessero configurarsi dei profili di incompatibilità, ma attendendo le verifiche del procuratore generale Luigi Riello, sollecitare dal guardasigilli Andrea Orlando. A breve, comunque, è attesa anche una riscrittura delle regole “d’ingaggio” fra uffici inquirenti e polizia giudiziaria. Sul punto sta lavorando la Settima commissione, con la circolare sulle Procure.
La scelta del nuovo procuratore, dunque, si inserisce in un contesto quanto mai effervescente.
Con la nomina di Dino Petralia a procuratore generale di Reggio Calabria, la rosa dei candidati per guidare i pm partenopei si è ristretta a due magistrati di altissimo spessore: Giovanni Melillo e Federico Cafiero de Raho.
Il primo, già capo di gabinetto del ministro della Giustizia Andrea Orlando, dal mese scorso è tornato in ruolo alla Procura generale di Roma. Il secondo è procuratore di Reggio Calabria, con un passato da aggiunto proprio a Napoli.
Anche Mellilo ha un passato da aggiunto a Napoli, avendo coordinato il pool anticamorra. La scelta di ritornare in ruolo, dopo la parentesi a via Arenula, è stata fatta per evitare possibili strumentalizzazioni da chi non vede di buon occhio un passaggio, senza soluzione di continuità, dal “fuori ruolo” all’incarico direttivo. Un tema questo su cui le correnti della magistratura sono diventate particolarmente “sensibili” nell’ultimo periodo.
Certamente le capacità organizzative nella scelta del nuovo capo peseranno molto. L’ufficio di Napoli ha necessita di serenità e fermezza. A tal proposito va ricordato il precedente di Agostino Cordova, che non riuscì nell’impresa e che subì un violento attacco in un documento firmato da 60 dei circa 100 sostituti in seguito al quale il Csm di allora lo trasferì per incompatibilità ambientale.
L’anagrafe, sulla carta, potrebbe favorire Melillo, che avrebbe davanti due quadrienni prima di essere collocato a riposo. Un tempo significativo per organizzare in radice l’ufficio. Tutte valutazioni che la Quinta commissione, quella per gli incarichi direttivi, dalla prossima settimana dovrà necessariamente tener conto.