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«Uno degli elementi principali su cui si fonda lo Stato di diritto è la funzione tributaria». Con queste parole Antonio Leone, dallo scorso settembre presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, ha aperto ieri mattina in Cassazione il suo intervento per l’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Leone ha ricordato come «il diritto tributario» sia «il primo volto dello Stato con cui il cittadino si confronta essendo chiamato al pagamento delle tasse e delle imposte. Da una spesa pubblica efficiente e giusta dipende la tenuta democratica del Paese», ha aggiunto. C’era molta attesa per questa cerimonia che cadeva in un momento molto particolare per la giustizia tributaria. Sono diverse, infatti, le proposte di riforma che interessano tale giurisdizione speciale. Le Commissioni tributarie hanno una composizione mista. I giudici tributari che provengono dalle magistrature professionali sono ormai la maggioranza, 1.578 su 2.818.
La composizione variegata è da sempre la cifra distintiva della magistratura tributaria, garantendo, nelle intenzioni del legislatore dell’epoca, una sintesi fra esperienze professionali diverse. Le modifiche depositate in Parlamento punterebbero, invece, a una magistratura composta da giudici a “tempo pieno”, reclutati con concorsi ad hoc, incardinati sotto la presidenza del Consiglio e non più sotto il ministero dell’Economia. Per Leone, però, «qualsiasi intervento di riforma va fatto senza stravolgimenti, puntando a rafforzare, in ossequio all’articolo 111 della Costituzione, la terzietà e imparzialità del giudice tributario, chiamato a verificare il corretto esercizio dei poteri di controllo, da parte dello Stato, sull’adempimento degli obblighi dei contribuenti». Anche il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha ribadito nel suo intervento la necessità di non procedere in maniera affrettata, dicendosi disponibile alla costituzione di un «tavolo tecnico» con tutti i soggetti a vario titolo coinvolti.
Proposta così accolta dal presidente del Cnf Andrea Mascherin: «Di tavoli ce ne sono già tanti, nelle nostre sedi. Forse più tavoli di riforma tra noi giuristi che all’Ikea. I tavoli vanno bene se poi si tiene davvero conto del contributo degli operatori del diritto», ha aggiunto. Quello che servirebbe, per Mascherin, è una svolta rispetto all’attuale sistema “fondato sulla mancanza di fiducia nei confronti del cittadino: tutti gli strumenti di controllo sono indirizzati alla verifica di contribuenti dei quali non ci si fida: è chiaro che poi il processo, in quanto sede di composizione dei conflitti, finisce per essere inevitabilmente centrale”. Perplessità su un nuovo tavolo tecnico anche dall’Unione nazionale Camere avvocati tributaristi ( Uncat), che temono diventi “l’occasione per ritardare un processo di riforma già avviato in sede parlamentare e ormai ritenuto indifferibile da tutti». Processo sul quale Uncat chiede dunque di «andare avanti» con l’obiettivo di «rafforzare la terzietà dei giudici». Sul fronte dei dati, le controversie pervenute nel 2018 sono state 211.555, con una contrazione rispetto all’anno precedente, quando erano state 212.165. Il numero delle controversie decise è stato di 253.734, di cui 190.104 ricorsi e 63.630 appelli. Le pendenze sono calate di circa il 9%. Numeri che confermano la velocità, in primo e secondo grado, del processo tributario in confronto agli altri riti. Qualche criticità sui tempi della decisione, come sottolineato anche dal primo presidente Giovanni Mammone, permane ancora in Cassazione. Dal prossimo primo luglio diventerà obbligatorio il processo tributario telematico. Una modifica attesa che dovrebbe consentire di abbattere ulteriormente i tempi del processo. Il tema dei compensi dei giudici tributari, da più parti ritenuti non dignitosi per la qualità e quantità del lavoro svolto, rimane invece irrisolto. L'ultimo aumento risale al 2002.