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I veleni sono in circolo e ormai inquinano la sopravvivenza stessa del Csm. In un giorno solo, il bollettino di guerra del caso Palamara fa registrare, nell’ordine: le dimissioni dalla sezione disciplinare dei due togati autosospesi che facevano anche parte di quell’organismo, ossia Paolo Criscuoli e Gianluigi Morlini; l’apertura del prevedibile procedimento disciplinare nei confronti di tutti e quattro i consiglieri, quindi anche di Corrado Cartoni e Antonio Lepre, oltre ai due già citati; l’avvio del procedimento “amministrativo”, cioè della pratica di trasferimento per incompatibilità ambientale, per i magistrati coinvolti a titolo di indagati nell’indagine di Perugia, ossia Luca Palamara, Stefano Fava e Luigi Spina; fino al passaggio più drammatico, le dimissioni di Morlini, che sceglie una strada diversa da quella degli altri tre colleghi autosospesi, tutti di Magistratura indipendente.
Uno scenario di guerra, appunto. Nel quale arriva persino la precisazione del Colle sulla estraneità del presidente Sergio Mattarella a discussioni e interventi sulle «nomine» o a incontri con Luca Lotti. Su un “accreditamento” presso il Quirinale da parte dell’ex ministro, erano circolate ieri indiscrezioni di stampa trasudate dall’indagine dei pm umbri. Ma quella di Lotti si è rivelata una boutade fra amici. La classica millanteria da bar sport. Lotti, imputato nell’indagine Consip, non ha mai esternato al Capo dello Stato alcuna perplessità sul modo in cui Giuseppe Pignatone ha diretto la Procura di Roma e sul conseguente bisogno di un cambio di passo a piazzale Clodio. E «gli unici interventi del presidente Mattarella - fanno sapere dal Quirinale - sono stati di carattere generale, per richiamare il rispetto rigoroso dei criteri e delle regole preposte alle funzioni del Csm. Inoltre l’ultimo incontro con Lotti è avvenuto il 6 agosto del 2018 attraverso una visita di congedo, come avvenuto anche per altri ministri». Una secca smentita, dunque, di quanto riportato da alcuni quotidiani, secondo i quali Lotti, nella ormai famigerata cena con Cosimo Ferri, Palamara, Gianluigi Morlini e i tre togati di “Mi” Cartoni, Criscuoli e Lepre, avrebbe raccontato del suo “sfogo” con Mattarella.
Ma come detto è la posizione dei consiglieri autosospesi, e non solo quella dell’ormai ex Morlini, a vivere un nuovo passaggio significativo: il pg della Cassazione Riccardo Fuzio, ha promosso, proprio per la ricordata cena, l’azione disciplinare nei loro confronti. Ed è per questo che Morlini, poche ore prima già congedatosi, come Criscuoli, dalla sezione disciplinare, ha rassegnato le vere e proprie dimissioni da consigliere Csm. Lo ha fatto subito dopo aver saputo del procedimento a suo carico. «È stato un errore non andare subito via appena Lotti si presentò quella sera», si legge nella lettera di commiato da Palazzo dei Marescialli al vicepresidente del Consiglio superiore David Ermini.
I tre togati di “Mi”, invece, hanno chiesto di leggere le trascrizioni dei colloqui intercettati prima di prendere qualsiasi decisione. Certo è che l’avvio dell’azione disciplinare non comporta automaticamente la sospensione dal Csm, che in questi casi è facoltativa. Vi è in merito una disciplina generale per tutti i componenti e una disciplina specifica per i componenti togati.
La norma prevede la sospensione di diritto e automatica dalle funzioni di consigliere non per il solo fatto della pendenza del procedimento disciplinare ma solo se viene disposta la misura della sospensione cautelare: non potrebbe valere per i togati del Csm una regola diversa da quella che vige per gli stessi magistrati, secondo cui le toghe coinvolte in un procedimento disciplinare continuano ad esercitare le loro funzioni salvo che non ne sia disposta la sospensione cautelativa. In caso di condanna che non sia inferiore all’ammonimento, la misura diventa a quel punto della decadenza di diritto. Sia la decadenza di diritto che la sospensione di diritto presuppongono in ogni caso una delibera votata dal plenum del Csm.
Cosa diversa è la sospensione facoltativa che è l’unico istituto previsto: l’autosospensione, infatti, nasce dalla prassi. La sospensione facoltativa non è subordinata a presupposti che sono legislativamente predeterminati, a differenza della sospensione di diritto che presuppone un voto del Csm a maggioranza dei due terzi e a scrutinio segreto.
Il rischio di “cortocircuito” istituzionale è però dietro l’angolo. L’applicazione della misura della sospensione cautelare dovrebbe essere richiesta dal procuratore generale della Cassazione o dal ministro della Giustizia per essere poi applicata dalla stessa sezione disciplinare del Csm: i consiglieri incriminati si troverebbero, quindi, ad essere giudicati dalla sezione dello stesso Consiglio di cui fanno parte. Allo stato c’è solo, da parte del Consiglio e degli altri consiglieri, la possibilità di mettere all’ordine del giorno una proposta di sospensione facoltativa che però è molto garantista, perché prevede un quorum di due terzi e soprattutto il voto a scrutinio segreto. In caso avvenisse tale sospensione ( non la decadenza), non resta vacante l’incarico ( con la decadenza resta vacante l’incarico e si scorrerebbe l’elenco dei primi non eletti). La sospensione invece fa permanere nella titolarità dell’incarico ma si è sospesi dall’esercizio della funzione.
Sul fronte Procura di Roma, infine, potrebbe ricominciare da zero l' iter per la nomina del nuovo capo. Una nuova deliberazione della quinta commissione, rinnovata nella sua composizione la scorsa settimana.