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giustizialismo
Più passano i giorni e più i detrattori della nuova norma sulla presunzione di innocenza aumentano, anche con motivazioni alquanto suggestive e paradossali. È emerso chiaramente durante le inaugurazioni giudiziarie nei vari distretti di Corte di Appello, durante le quali diversi procuratori generali, quali quello di Perugia, Sergio Sottani, e quello di Milano, Francesca Nanni, l'hanno criticata perché troppo restrittiva. Ad allearsi ai magistrati arrivano i giornalisti: due giorni fa il Consiglio dell'Ordine delle Marche ha diramato una lunga nota nella quale si dice che «il dlgs presunzione d'innocenza peggiora il processo mediatico» in quanto «tanto più si rende difficoltoso il contatto con la fonte ufficiale, tanto più si rischia di aumentare i processi sui media». Addirittura, si arriva a dire che «i limiti imposti dal decreto 188, pur diretti a rafforzare la presunzione di innocenza, rischiano di suscitare l’effetto opposto rispetto a una corretta informazione, la quale, di fronte a muri e filtri cercherà altri canali, altre fonti, meno ufficiali e forse più interessate. Anche perché i limiti previsti sono vincolanti solo per le fonti pubbliche e non per le difese o parti offese nel procedimento». Per l'avvocato Lorenzo Zilletti, responsabile del Centro Studi Giuridici “Aldo Marongiu” dell'Ucpi, «non è paragonabile il fenomeno delle conferenze stampa o delle veline delle procure con i comportamenti deontologicamente scorretti tenuti in modo occasionale da avvocati spregiudicati. Il lettore del giornale o lo spettatore del tg sono certamente più influenzati dalla comunicazione ufficiale della pubblica autorità che non dalla notizia filtrata ai giornalisti da altre fonti». Proprio il Centro Marongiu è stato co-organizzatore due giorni fa, insieme alle Camere penali di Firenze e Pistoia, e alla Fondazione per la Formazione forense dell'Ordine degli avvocati di Firenze, di un convegno sulla nuova norma. Tra i relatori il procuratore di Pistoia, Tommaso Coletta, per cui «la norma non è epocale» e «mancano tra i destinatari i giornalisti e gli avvocati». In pratica non è cambiato nulla e non avevamo bisogno di questa ulteriore legge che si va ad aggiungere alle migliaia che già avevamo, secondo il magistrato. Mentre per gli avvocati intervenuti rappresenta invece un importante tassello, un pezzo di Costituzione che si rafforza nella pratica. A tirare le somme dell'evento è sempre l'avvocato Zilletti: «C'è un problema culturale di fondo: è assurdo ritenere di poter ledere la dignità e la presunzione di innocenza di una persona solo per il fatto di essere indagata». La preoccupazione sollevata però da Gianluca Amadori, Consigliere dell’Ordine nazionale dei giornalisti, è che la norma metta un freno alle comunicazioni, ledendo il diritto dei cittadini ad essere informati. «Ma siamo così sicuri - replica Zilletti - che le notizie delle indagini debbano necessariamente essere oggetto di comunicazione? Se il fatto di essere iscritto nel registro degli indagati non può costituire un pregiudizio - non ne deriva infatti un carico pendente - , perché dovrebbe essere data per forza notizia dell'iscrizione? Basta poco per essere indagati ma ricordiamoci che può arrivare il decreto di archiviazione. E allora perché uno dovrebbe finire necessariamente sbattuto sulle prime pagine dei giornali se manca persino la domanda del processo?». Ad aprire il convegno era stato il deputato di Azione Enrico Costa: «Una cosa che non posso ritenere coerente con l'attuale legge è l'atteggiamento di molte forze di polizia che sfornano quotidianamente dei comunicati stampa su indagini, inchieste, sequestri, perquisizioni o altro». Molte forze di polizia, ha detto Costa, «lo fanno, devo dire, non controllate dal procuratore della Repubblica che è il soggetto al quale questa normativa dà in mano il controllo, la regia, il filtro e la valutazione. Questo non è possibile. È necessario un intervento del ministero della Giustizia che con l'Ispettorato monitori quello che sta accadendo». Infatti, come emerso grazie anche ad un nostro monitoraggio divulgato durante l'incontro, l'applicazione della norma è a macchia di leopardo. In alcuni comunicati della polizia giudiziaria è specificato che «la presente comunicazione è stata autorizzata dalla procura», in altri questa dicitura manca. Per quanto concerne l'atto motivato, lo stesso è una rarità. In una nota della Guardia di Finanza concernente una operazione antifrode si dichiara, un po' tautologicamente, che «il Procuratore della Repubblica ha autorizzato la diffusione delle notizie agli organi di stampa, sussistendo l'interesse pubblico al contrasto alle frodi fiscali, che arrecano danno alle entrate erariali dello Stato». Sempre lo stesso procuratore, nel caso dell'interdizione totale per un anno per due avvocati, indagati per i reati di falsificazione e circonvenzione di incapace, motivava la nota «sussistendo l'interesse pubblico a tutela del principio di correttezza e di buona fede, da parte di particolari categorie professionali, nei rapporti con i propri assistiti, soprattutto se appartenenti alle fasce più deboli». La questione dell'interesse pubblico rimane aperta: chi decide quale inchiesta ne sia meritevole? Zilletti teme che «tutto, secondo un'interpretazione troppo ampia della norma che potranno darne le procure, diventi di interesse pubblico, a scapito quindi degli indagati».