DI ALESSANDRO PARROTTA (direttore ISPEG)

"L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, è quanto sancisce l’articolo 27 comma 2 della Costituzione, un principio purtroppo molte volte disatteso dal caos creato dalla costante mediatizzazione dei procedimenti penali.Le conseguenze, come ovvio, sono disastrose per chi è sottoposto alla gogna mediatica: dall’erosione della sfera personale, al danno reputazionale, fino a ledere la dignità personale. Condannato dall’opinione pubblica ancor prima che intervenga la sentenza passata in giudicato: è questo l’esito che travolge indagati/ imputati.E non sono pochi.Già su queste pagine lo scrivente evidenziava come persone ritenute poi innocenti si ritrovino con una magra consolazione, per lo più un trafiletto sull’assoluzione che, come noto, non fa scalpore. Spesso, infatti, nemmeno la sentenza di assoluzione piena ha il potere di ripulire la reputazione frantumata, atto lo scemare dell’interesse per il grande pubblico di casi che vengono consumati, discussi ed interpretati integralmente in una fase processuale embrionale e priva di contraddittorio: quella delle indagini. Il problema è noto tanto agli operatori del settore, quanto agli osservatori operanti nelle sedi Ue, i quali hanno emesso la direttiva 363 del 9 marzo 2016, che intende rafforzare il principio sulla presunzione d’innocenza ex articolo 27 Cost.A distanza di 5 anni le Commissioni parlamentari si sono finalmente viste assegnare il testo del Decreto legislativo in esame, volto per l’appunto ad adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della succitata direttiva Ue e relativo al “rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione d’innocenza”, segnando un notevole cambio di passo rispetto al passato esecutivo, noto, in ambito Giustizia, soprattutto per iniziative assai discusse come il blocco della prescrizione.Ad ogni modo, sarà necessario apprezzare tutte le suesposte intenzioni all’atto pratico, valutando come il Legislatore abbia intenzione di tradurle sul piano positivo. Di primaria rilevanza è l’articolo 2 del testo in esame il quale dispone il divieto per l’Autorità pubblica di additare come “colpevole” la persona sottoposta ad indagini o imputata fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza di condanna o decreto penale di condanna irrevocabili. Il testo è una valida traduzione dell’articolo 27. L’intenzione del Legislatore è qui palese: tradurre sul piano del diritto positivo una norma costituzionale di principio, che, come noto, non gode dello stesso ascolto. Paradossale, sicuramente, ma così è.Ad ogni modo, come noto, ogni disposizione necessita di essere accompagnata da norme sanzionatorie, affinché il diritto sostanziale possa trovare reale e concreta applicazione. A tal fine il comma 2 del medesimo articolo introduce una sanzione dalla funzione che chi scrive definisce ibrida: preventiva, punitiva e riparatoria. Mantenuto fermo, infatti, l’obbligo del risarcimento del danno, nonché le sanzioni disciplinari ed eventualmente penali – le quali richiederanno il classico iter di accertamento in ordine alle responsabilità del magistrato nella divulgazione di informazioni lesive per l’indagato, ovvero imputato – il Legislatore ha inteso creare un procedimento ad hoc che conferisce all’interessato la possibilità di chiedere al magistrato inquirente una rettifica delle dichiarazioni rese. In pratica: il pubblico ministero, obbligato a rispondere entro e 48 ore dalla ricezione della richiesta, può accogliere così come rigettare l’istanza, dandone avviso all’interessato. In caso di rigetto, infine, è data facoltà all’interessato di impugnare il provvedimento adendo il Tribunale ai sensi dell’articolo 700 c.p.c., articolo disciplinante la tutela cautelare d’urgenza.Come esposto il Legislatore non va ad introdurre vere e proprie sanzioni,le quali potranno essere comminate secondo i classici metodi già offerti dall’ordinamento nostrano, ma si spinge oltre, creando un rimedio ad hoc, rapido e immediato in considerazione della natura del bene leso e l’urgenza della riparazione. Il focus, insomma, si sposta dal piano della forza preventiva della sanzione, al piano della riparazione, concedendo al magistrato di rimediare tempestivamente ad errori talvolta fatali per la reputazione di un soggetto, con tutto ciò che ne consegue. Lo stigma del procedimento penale, come noto infatti, è la prima pena che i coinvolti nella macchina giudiziaria sono chiamati a scontare in via anticipata, indipendentemente che questi siano innocenti o colpevoli, stigma che risulta esponenzialmente amplificato nel caso di dichiarazioni pubbliche dal tenore colpevolizzante. Si sa: un procedimento penale pesa, non solo economicamente, ma in termini di anni di vita per chi -a qualsivoglia titolo- si trova ad affrontarlo. L’esigenza di celerità in casi simili non può attendere i tempi della Giustizia e del tutto vana risulta una successiva sentenza di assoluzione, anche se piena, emessa a distanza di anni. Non a caso, come si anticipava, l’articolo in esame tratta il bene giuridico della presunzione di innocenza come un bene da tutelare in via d’urgenza, consentendo di impugnare il rigetto della pubblica accusa alle rettifiche, ai sensi dell’articolo 700 c.p.c..Come rilevato da uno dei principali fautori del decreto, il collega e onorevole Francesco Paolo Sisto, Sottosegretario alla Giustizia, in un’illuminante intervista offerta sempre su queste pagine, la norma, a carattere prevalentemente riparatorio, gode tuttavia anche di forza preventiva derivante dalla circostanza che un Tribunale, se adito ex art. 700 c.p.c., possa obbligare il Procuratore a rettificare a proprie dichiarazioni, contrariamente alle intenzioni dello stesso.Secondo Sisto – e sul punto chi scrive è concorde – la “posizione d’imbarazzo” a cui verrebbe sottoposto il magistrato rappresenterebbe elemento tale da conferire alla norma il giusto carattere punitivo e conseguentemente preventivo. A ciò si aggiunga che le eventuali rettifiche andranno rese con gli stessi mezzi utilizzati all’atto della violazione della presunzione d’innocenza.Relativamente all’impugnazione del rigetto ai sensi dell’articolo 700 c.p.c. è apprezzabile l’intento del Legislatore di ricondurre la violazione della presunzione d’innocenza alla tutela d’urgenza. Sul punto va tuttavia detto che la tutela potrà ritenersi realmente efficacie sulla base del Foro presso cui si fa richiesta ex art. 700 c.p.c., in considerazione delle differenti velocità con la quale viaggiano le Corti sparse sul suolo peninsulare. Pertanto, se i tempi dettati dal Tribunale interessato dovessero risultare eccessivi, si andrebbe a vanificare la reale innovazione del Decreto legislativo in esame, la riparazione tempestiva del danno tramite rettifica. Beninteso, lo schema di D.L. rappresenta in ogni caso un notevole passo avanti rispetto all’attuale situazione normativa, e avrà indubbiamente il pregio di diffondere il sostrato culturale giuridico da cui proviene, quello garantista e coerente col dettato costituzionale, il quale potrà vedersi eventualmente migliorato in futuro qualora la sua reiterata applicazione dovesse portate alla luce dei difetti procedurali.Volendo essere pragmatici, oggettivi e il più lucidi possibili nell’analisi, non si possono non evidenziare quelle che sono le potenziali criticità di un Decreto legislativo necessario che, si auspica, entri in vigore il più celermente possibile, così da adeguare l’Italia a quanto Ue e Carta costituzionale impongono.