PHOTO
I numeri. Servono i numeri. «Sapete in quanto tempo si prescrive una corruzione in atti giudiziari? Ci voglio 30 anni. A legislazione vigente, con la norma del ministro Bonafede non ancora efficace. Il disastro ambientale? Prescritto dopo 37 anni. Ce ne vogliono 37 e 6 mesi per i casi più gravi di maltrattamenti in famiglia, un quarto di secolo per fattispecie a elevato allarme sociale come rapina, traffico di droga, estorsione...».
A parlare è l’avvocato Paolo Giustozzi, che fa parte della giunta dell’Unione Camere penali. A lui il presidente Gian Domenico Caiazza affida l’ingrato compito: dare i numeri durante la conferenza stampa indetta nel primo dei cinque giorni di astensione dalle udienze, proclamati dalla stessa Ucpi. «Abbiamo ritenuto opportuno che la nostra protesta sia segnata da un’opera di informazione», spiega Caiazza. «La cifra costante delle norme in campo penale è la totale disinformazione. Non si spiega cosa avviene nella realtà. Lo facciamo noi».
E in effetti i penalisti sciorinano tabelle da brividi. Lo fanno nei giorni in cui nulla sembra in grado di scongiurare l’abbattersi, dal 1° gennaio, del blocca- prescrizione. Reduci da un congresso straordinario che hanno intitolato “Imputato per sempre”, gli avvocati fanno da avanguardia mentre gli alleati dei 5 Stelle esitano. «L’obiettivo minimo dovrebbe essere il rispetto, da parte del guardasigilli Bonafede, dell’impegno assunto un anno fa: rinviare, almeno, la norma sulla prescrizione finché non viene approvata una riforma che velocizzi davvero il processo», aggiunge Caiazza.
L’Ucpi si dà una mission: raccontare finalmente la verità sull’istituto che i giustizialisti hanno deformato in una sorta di leggenda nera. Allo scopo affidano una campagna social alla società The Skill, specializzata nel settore mediatico- giudiziario. Diffonderà su larga scala le cifre pazzesche enumerate da Giustozzi. Poi ci sono le statistiche scovate «con tecnica da hacker casereccio» da Giorgio Varano, che dell’Ucpi è il responsabile Comunicazione: «Mostrano le enormi differenze nei tempi di definizione dei giudizi: basti guardare al dato dei fascicoli aperti alla Procura di Brescia, 663 giorni, più di quattro volte superiore ai 161 di Trento». Senza considerare «le prescrizioni dichiarate in Corte d’appello, che a parte i grandi e intasati distretti, fanno registrare dati come il 43% dei reati estinti per decorrenza termini a Venezia, il 35 a Catania, il 26 a Bologna».
Ma forse il numero chiave proposto da Varano è quello dei reati prescritti dopo il primo grado, sui quali interviene la nuova norma che abolisce l’istituto: «Sono solo il 25% delle prescrizioni totali. E ad andare in prescrizione è solo il 10% dei fascicoli». Ecco in vista di quale esito, osserva Caiazza, «si afferma il principio gravissimo per cui dopo il primo grado la persona, persino se assolta, resta a disposizione dello Stato». Si fanno a pezzi i cardini del diritto per casi che non superano il 2,5% del totale.
«Ma c’è una conseguenza pratica», fa notare il segretario dell’Ucpi Eriberto Rosso, «perché cancellare la data di prescrizione dalla copertina del fascicolo significherà togliere al giudice l’unico efficace stimolo a definirlo in fretta». Non solo: proprio vista tale futilità del blocca- prescrizione, a fronte dei casi su cui interverrebbe, «l’altra vera conseguenza è lo scardinamento culturale: della presunzione d’innocenza e della finalità rieducativa della pena». Riformare senza ancoraggio con la realtà vuol dire istigare ancora di più l’opinione pubblica a una visione rabbiosa della giustizia. «Ma noi siamo convinti che di fronte a numeri come questi, i cittadini possano cambiare idea». I penalisti, almeno loro, ci credono.