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«L’attuale f ormulazione della prescrizione è sbilanciata rispetto ai principi fondamentali della Carta e presta il fianco all’ipotesi di incostituzionali-tà» . A confermarlo è il giurista Enzo Cheli, giudice emerito della Corte Costituzionale. «L’attuale formulazione della prescrizione è sbilanciata rispetto « ai principi fondamentali della Carta e presta il fianco all’ipotesi di incostituzionalità». A confermarlo è il giurista Enzo Cheli, già ordinario di Diritto costituzionale presso le università di Cagliari, Siena e Firenze e giudice emerito della Corte Costituzionale.
Professore, in che senso l’attuale formulazione della norma sulla prescrizione, contenuta nella riforma Bonafede, è sbilanciata?
Il mio ragionamento muove dall’assunto che il tema della prescrizione è tecnicamente complesso e, come tale, va affrontato tenendo conto di un complesso di principi costituzionali. Il primo è la presunzione di innocenza, contenuto nell’articolo 27 della Carta; il secondo è il principio del giusto processo, cui consegue quello della ragionevole durata del processo contenuti nell’articolo 111 e infine il terzo, il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale dell’articolo 112, che sottintende la certezza della pena per chi ha commesso il reato. La difficoltà per il legislatore è di mettere in equilibrio questi principi, trovando il punto di bilanciamento tra le diverse esigenze indicate nella Costituzione.
Lo stop alla prescrizione non lo fa correttamente?
I principi della presunzione di innocenza e quello della ragionevole durata del processo operano a favore della prescrizione e tendono a ridurne la durata; quello dell’obbligatorietà dell’azione penale, invece, opera contro la prescrizione e tende a dilatarne i tempi. Ecco, la norma voluta da Bonafede tiene conto solo del principio della certezza della pena, senza considerare invece gli altri due.
Quali rischi comporta?
La sospensione illimitata della prescrizione mette in discussione il principio della ragionevole durata del processo. Così formulata, la norma elimina l’interessa a chiudere rapidamente il processo e, visto il carico di lavoro del corpo giudiziario, esiste il concreto rischio che l’imputato rimanga indefinitamente sotto processo, nonostante l’assoluzione in primo grado. Una sorta di fine processo mai, che a mio parere va incontro a una incostituzionalità certa.
Con quali conseguenze?
Che la stortura costituzionale verrà corretta sul piano giudiziario, se ciò non avverrà sul piano politico.
E’ possibile superare questa incostituzionalità?
Io credo che una strada percorribile sarebbe quella di introdurre una disciplina differenziata a seconda della gravità dei reati contestati. Bisogna individuare il giusto punto di equilibrio, per esempio riducendo i tempi di prescrizione dopo una sentenza di assoluzione e allungandoli nel caso di una sentenza di condanna. Si tratta di un orientamento che già circola e mi sembra che un aggiustamento di questo tipo possa contemperare l’esigenza di certezza della pena con quella del principio di innocenza, preservando la ragionevole durata del processo.
Questo permetterebbe un corretto bilanciamento?
Le strade possono essere molteplici, ma credo che la chiave di volta rimanga il principio della ragionevole durata del processo, attraverso il quale individuare il punto di equilibrio tra gli estremi garantisti e giustizialisti. Non si può affrontare un tema che tocca elementi così pregnanti del sistema penale, modellando la riforma solo su un elemento. Tuttavia, per raggiungere il risultato di ridurre i tempi della giustizia, è necessaria una riforma più complessiva del sistema penale.
Ritiene serva una riforma profonda oppure solo aggiustamenti mirati?
Le linee di fondo che reggono il processo penale rispondono a un’idea moderna del processo, come introdotta dalla riforma Vassalli che ha aperto la strada alla revisione costituzionale del giusto processo, con l’introduzione del principio del contraddittorio e il superamento del sistema inquisitorio. E’ vero che esistono alcuni nodi tecnici, che possono provocare l’allungamento dei tempi processuali in modo anche improprio, ma si tratta di patologie rimediabili. Insomma, la struttura attuale del processo è solida e non ha bisogno di riforme radicali, ma di aggiustamenti che, operativamente, riguardando soprattutto il profilo organizzativo.
Non la procedura, quindi?
No, il problema di fondo del processo penale non sta nella procedura ma nell’organizzazione giudiziaria: serve un investimento di risorse nella macchina giudiziaria. Un investimento, per altro, che va legato direttamente alla necessità di rafforzare la nostra democrazia e la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato, attraverso una giurisdizione che risponda in modo tempestivo al loro bisogno di giustizia.
L’avvocatura, la magistratura e l’accademia si sono unite, in questa fase, in difesa dei principi costituzionali.
Certo, esiste una vicinanza culturale tra il mondo della magistratura, quello delle professioni e l’accademia. E’ stato così quando venne redatta la riforma del giusto processo e lo è adesso, con l’obiettivo comune di difendere i principi dello stato di diritto. La linea del Cnf mi sembra molto ragionevole e condivisibile, soprattutto nella parte in cui sottolinea l’esigenza di difendere il principio della presunzione di innocenza, che è forse quello più rilevante.