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Rendere il carcere l'ultima ratio e perseguire, attraverso la pena da scontare fuori dalle mura, l'attuazione piena dell'articolo 27 della Costituzione. Sono queste le richieste del sindacato che chiede più organico per attuare al meglio l’esecuzione penale esterna. I numeri parlano chiaro: su un totale di 94.537 soggetti in carico al segmento dell'esecuzione penale esterna, ci sono 1.299 lavoratori. Parliamo di 1.114 funzionari dei servizi sociali e 185 di polizia penitenziaria suddivisi in 167 agenti assistenti, 11 sovraintendenti e 7 ispettori. Numeri, questi ultimi «totalmente insufficienti, in costante riduzione, per quanto riguarda i funzionari di servizio sociale, per effetto di quota 100 ed un'età media molto elevata.
Una situazione grave che si prova a coprire ricorrendo a volontari del servizio civile e all'utilizzo di agenti o personale tecnico per coprire mansioni amministrative». È questo lo stato in cui versa l'esecuzione penale esterna, ovvero quel segmento del complesso mondo dell'esecuzione penale che si occupa, in prevalenza, di chi sconta la pena fuori dalle mura carcerarie. A denunciarlo è il segretario nazionale della Fp- Cgil, Florindo Oliverio che mercoledì scorso ha promosso una iniziativa sul tema, dietro le parole “Fuori a metà - L'altra pena, fuori dalle mura”. Al centro dell'iniziativa un settore che dipende dal Dipartimento di giustizia minorile e di comunità del dicastero di via Arenula e che persegue il potenziamento e l'implementazione di misure alternative al carcere, come previsto dalla legge 67 del 2014 con l'istituzione della messa alla prova.
Serve, secondo il dirigente sindacale, «non solo riconoscere la giusta professionalità al personale, come ad esempio riconoscere la specificità della dirigenza di servizio sociale. Ma soprattutto chiediamo con forza al ministro della Giustizia e al governo di riavviare l'interrotto confronto sull'esecuzione penale e mettere in campo una concreta opera di potenziamento del settore».
Per la Fp- Cgil serve un piano straordinario di assunzioni «finalizzato a garantire il mandato istituzionale del settore sia per quanto riguarda le misure alternative sia per quanto riguarda la messa alla prova. Questo è il modello di esecuzione della pena che vogliamo per il nostro Paese. Un modello che sostenga il mandato costituzionale affidato a tutti i lavoratori che rappresentiamo e garantisca loro la possibilità di lavorare in modo dignitoso e di crescere professionalmente» . L’istituzione della messa alla prova rappresenta la possibilità di richiedere la sospensione del procedimento penale per reati considerati di minore gravità, possibilità già prevista per i minorenni e, dalla legge citata, ora anche per gli adulti.
Il settore dell'esecuzione penale esterna comprende una serie di attività e interventi, tra cui il controllo, il consiglio e l'assistenza, mirati al reinserimento sociale dell'autore di reato e volti a contribuire alla sicurezza pubblica. Il bacino di utenza dell'esecuzione penale esterna, dalla sua istituzione, ha registrato un progressivo aumento che non è soltanto determinato dall'introduzione della misura della messa alla prova, ma anche dal costante aumento del numero di persone che fruiscono delle misure alternative e sanzioni sostitutive. Si è passati così, rilevano i numeri della Funzione pubblica Cgil, dalle 32 mila persone ( 31.404 in misure alternative e 804 messe alla prova) del 2015 alle oltre 55 mila ( 39.843 e 15.171) del 2019. Ma non solo, precisa il sindacato, si deve considerare che una funzione fondamentale dell'esecuzione penale esterna è quella della consulenza sia nei confronti della magistratura che nei confronti degli istituti di pena. Un carico di lavoro rappresentato da altre 39 mila persone che si aggiungono alle 55 mila che già fruiscono di una misura.