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PRESENTAZIONE DELL AREA INDUSTRIALE INTERNA DEL CARCERE DI BOLLATE
La condizione lavorativa del personale penitenziario, dagli agenti di polizia penitenziaria ai funzionari giuridico-pedagogici, è caratterizzata da un profondo squilibrio. Secondo un’accurata analisi di Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, la carenza di personale e, soprattutto, la marcata disomogeneità tra le diverse carceri costituiscono un problema strutturale che incide negativamente sia sulle condizioni lavorative degli operatori sia sui percorsi di reinserimento sociale dei detenuti.
Le difficoltà degli agenti penitenziari
Nel suo documento analitico, Nessuno Tocchi Caino evidenzia la particolare complessità del lavoro degli agenti di Polizia penitenziaria, sottolineando come questi operatori siano sottoposti a condizioni lavorative caratterizzate da elevati livelli di stress e frequenti situazioni di pericolo. Gli agenti rappresentano l’unica figura professionale in costante contatto con una popolazione carceraria sempre più complessa, che include un numero crescente di detenuti con problematiche psichiatriche e dipendenze da sostanze stupefacenti.
A differenza di altre figure professionali come educatori, psicologi, medici, assistenti sociali o mediatori culturali - che i detenuti incontrano solo sporadicamente - gli agenti costituiscono il punto di riferimento quotidiano per ogni necessità della vita carceraria. Le loro mansioni spaziano dalle più basilari esigenze dei detenuti - come l’accesso alle docce esterne alla cella o la fornitura di carta igienica - fino alla gestione di situazioni più complesse, come l’organizzazione di telefonate straordinarie o i contatti con gli avvocati. Sono loro a gestire l’apertura e la chiusura delle celle, a mediare nelle dispute tra detenuti e ad accompagnarli nelle varie attività, dalla scuola al lavoro, dall’ora d’aria alle attività sportive.
Durante le numerose visite effettuate nelle carceri, Nessuno Tocchi Caino ha raccolto testimonianze allarmanti sulla carenza di personale. Particolarmente critica risulta la situazione dopo le 17, quando gli agenti rimangono l’unica presenza professionale nell’istituto fino al mattino seguente. Durante il turno notturno, non è infrequente che un singolo agente debba supervisionare tra i cento e i centocinquanta detenuti, distribuiti su più piani.
D’altronde, i dati del Garante Nazionale delle persone private della libertà per il 2024 dipingono un quadro drammatico: gli agenti hanno dovuto gestire 5.532 atti di aggressione, 12.544 casi di autolesionismo, 14.509 emergenze con ricovero ospedaliero, 1.436 proteste collettive, 12.706 proteste individuali, 2.035 tentativi di suicidio e 2.098 aggressioni fisiche nei loro confronti. Il bilancio più tragico del 2024 riguarda i decessi: 246 morti tra i detenuti, di cui 89 suicidi - il numero più alto mai registrato - e 7 suicidi tra gli stessi agenti della polizia penitenziaria. Nessuno Tocchi Caino sottolinea come queste condizioni di lavoro «umilianti» degli agenti siano il riflesso di un sistema carcerario dove la condizione della popolazione detenuta è essa stessa «disumana, degradata e degradante».
La grave disomogeneità tra istituti
Il decreto Nordio del 12 luglio 2023 stabilisce una dotazione organica di 37.389 agenti per i 189 istituti penitenziari italiani, ma la realtà è ben diversa. Al 31 dicembre 2024, le unità effettivamente assegnate erano solo 31.091, con un deficit di 6.298 unità rispetto alla previsione organica. Questa carenza, evidenza Nessuno Tocchi Caino, si traduce in un rapporto medio nazionale di 1 agente per 1,99 detenuti, ben al di sotto del rapporto ottimale di 1 agente per 1,62 detenuti stabilito dal decreto. La situazione è ulteriormente aggravata da disparità regionali: ad esempio, nella Casa Circondariale di Rieti, il rapporto è di un agente per 3,80 detenuti, mentre a Regina Coeli a Roma si arriva a un agente ogni 3,03 detenuti.
All’estremo opposto, strutture come quella di Sciacca presentano un rapporto di un agente ogni 0,49 detenuti. L’analisi, quindi, cristallizza un quadro molto disomogeneo della distribuzione. Questi squilibri si riflettono in un sovraccarico di lavoro e in condizioni operative difficili per gli agenti, spesso costretti a gestire turni notturni in solitudine, con un solo agente responsabile di più piani detentivi.
Nessuno Tocchi Caino sottolinea come sia necessario ripensare completamente l’approccio all’esecuzione penale, considerando il carcere come extrema ratio e potenziando le pene e le misure alternative. In questa prospettiva, occorrerebbe riparametrare tutti gli organici delle figure professionali che operano nelle carceri. La situazione attuale è ulteriormente aggravata dal sovraffollamento strutturale degli istituti e da un’impostazione sempre più orientata alla sicurezza, che rischia di compromettere gli obiettivi di reinserimento sociale dei detenuti.
Funzionari pedagogici: risorse inadeguate
In questo contesto, gli educatori, in particolare, si trovano a dover gestire un carico di lavoro eccessivo che include l’organizzazione delle attività trattamentali, l’osservazione della personalità e la preparazione delle relazioni per la magistratura di sorveglianza. Negli istituti penitenziari, il loro ruolo è fondamentale per garantire percorsi di rieducazione e reinserimento sociale ai detenuti. Eppure, la loro presenza è cronicamente insufficiente, nonostante un lieve miglioramento recente grazie alle assunzioni derivanti dagli ultimi concorsi.
Eppure, questo passo avanti si rivela marginale di fronte alle esigenze di una popolazione detenuta in costante aumento e alle numerose responsabilità affidate a queste figure. È attraverso il loro lavoro che i magistrati di sorveglianza possono valutare l’accesso ai benefici penitenziari, comprese le misure alternative alla detenzione. Ma nel documento, Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino rivela che la realtà raccontata dagli stessi detenuti è ben diversa: molti lamentano contatti sporadici o inesistenti con il proprio educatore di riferimento.
I numeri confermano questa percezione. A fronte di una pianta organica che prevede 1.001 educatori per i 189 istituti penitenziari italiani, al 31 dicembre 2024 solo 983 erano effettivamente in servizio. La media nazionale, già di per sé critica, è di un educatore per 63 detenuti. Ma ciò che colpisce maggiormente nello studio dell’associazione, è anche in questo caso la disomogeneità nella distribuzione. In istituti come Regina Coeli a Roma, Verona e Bergamo, ogni educatore deve occuparsi di circa 150 detenuti, un compito al limite dell’impossibile.
Al contrario, realtà come Sciacca, con un rapporto di 1 educatore per 11 detenuti, rappresentano eccezioni rare e non significative rispetto al quadro generale. Questa situazione, oltre a compromettere la qualità del trattamento rieducativo, si inserisce in un contesto lavorativo già gravoso. Gli educatori, diversamente da altre figure professionali che operano in carcere, non hanno possibilità di avanzamento di carriera, un’anomalia che aggiunge frustrazione a una condizione professionale precaria. Inoltre, le assenze legittime per ferie, malattia, maternità e altre motivazioni riducono ulteriormente il numero di operatori effettivamente disponibili, aggravando il carico di lavoro su chi rimane.
Questi problemi sono particolarmente evidenti nei grandi istituti sovraffollati, dove il numero di educatori è drammaticamente insufficiente rispetto alle necessità. A Regina Coeli, per esempio, sette educatori devono seguire oltre mille detenuti. In altre realtà, come Verona e Bergamo, i numeri non sono meno impressionanti, con rapporti che si avvicinano a 1 educatore per 150 detenuti. Dagli agenti penitenziari agli educatori, non è solo una questione di numeri, ma è necessario ripensare l’intero sistema di distribuzione e organizzazione delle risorse, adattandolo alle esigenze reali dei singoli istituti. Ma per far ciò, bisogna risolvere il sovraffollamento.