Si fa sempre più acceso il dibattito sul tema delle baby gang che stanno mettendo a dura prova Napoli e non solo. Ieri è intervenuto il ministro della Giustizia Andrea Orlando dai microfoni di Radio Capital, spiegando che «per allontanare i bambini dai contesti più difficili servono misure di prevenzione diverse rispetto alla condanna». Orlando ha specificato che «il tema c’è e non riguarda solo Napoli. C’è una crisi delle famiglie, dei quartieri, dei corpi intermedi. Quel che si può fare è l’estensione del tempo pieno a scuola a tutte le aree degradate, per questo io farò una proposta per costituire dei pre- riformatori». Il conduttore Massimo Giannini gli ha chiesto se non fosse il caso di pensare a un abbassamento dell’età minima di punibilità. Il ministro Orlando è stato categorico spiegando che la giustizia minorile funziona, tanto da determinare un calo della recidiva e che sarebbe assurdo fare una proposta del genere, perché non vorrebbe che tra qualche anno «ci trovassimo a discutere se un bambino di 8 anni sia in grado di intendere e volere: ovviamente la risposta sarebbe negativa». Il ministro Orlando ha inviato una lettera al Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, e al Sindaco, di Napoli Luigi De Magistris, per un incontro urgente che “possa determinare - si legge nella lettera, sollecitamente la stipula di un Protocollo congiunto che, preveda un vostro diretto coinvolgimento nel reperimento di idonei spazi da mettere a disposizione e la individuazione puntuale delle azioni condivise per la più rapida realizzazione” di Centri diurni polifunzionali. Orlando scrive: “I recenti e gravi fatti accaduti a Napoli e in Campania impongono più che mai una azione concreta e congiunta di tutte le Istituzioni che fornisca risposte immediate ed efficaci. È noto che la violenza, ed ancor più la reiterazione di condotte antisociali gravi, specie se agita da giovanissimi, trae origine, molto spesso, da un tessuto sociale connotato da disgregazione familiare, assenza di modelli educativi, di agenzie di avviamento all’istruzione ed al lavoro e da contesti di particolare deprivazione economica”. Il ministro sottolinea il ruolo dei Centri diurni polifunzionali “nell’ottica della prevenzione e della agevolazione dell’inclusione sociale, ne abbiamo già pienamente operativi due: Nisida, e Santa Maria Capua Vetere, entrambi attivi dal 2016. È inoltre in programma la realizzazione di un terzo centro nella città di Salerno, dove, con l’ausilio degli enti locali territoriali, siamo in attesa di reperire idonea struttura. I Centri Diurni Polifunzionali, come noto, sono strutture minorili non residenziali per l’accoglienza diurna di minori e giovani adulti sottoposti a misure penali nonché di giovani in situazioni di disagio sociale o comunque a rischio di devianza, anche se non sottoposti a procedimento penale”.

Il ministro degli Interni Marco Minniti, nel frattempo, ha fatto sapere che aumenterà la sorveglianza del territorio napoletano con l’arrivo 100 unità di forza della polizia: si tratta di un piano chiamato “Sicurezza giovani”. Ma a livello nazionale è davvero in aumento il fenomeno del cosiddetto “baby gang”? In realtà no, ma c’è qualcos’altro. Leggendo la cronaca pare che il fenomeno sia in aumento per quantità delle sue manifestazioni, ma basta consultare i dati del Dipartimento Giustizia Minorile per rendersi conto che il fenomeno baby gang in Italia non aumenta tanto nel numero – anzi diminuisce -, ma si modifica per “qualità”. I minori in carico ai servizi residenziali, al 15 dicembre scorso, erano 1.459. Nell’analogo periodo del 2016 erano 1.364. Di questi 1.459, 437 si trovano presso gli istituti penali e 990 presso comunità del privato sociale. Ci sono poi quasi 6.300 minori in carico ai servizi sociali. Di questi, 1.700 si trovano in regime di messa alla prova, che è uno degli strumenti normativi più importanti del diritto penale minorile ( esteso anche agli adulti). I soggetti presi in carico per la prima volta dalla giustizia minorile, invece, sono diminuiti dai 5.607 del 2016 ai 5.148 di quest’anno. Cos’è cambiato quindi? La “qualità”. Se i delitti commessi dai minorenni sono complessivamente diminuiti, al loro interno sono aumentati, tra gli altri, proprio gli omicidi: sia tentati ( 208 contro 191 del 2016), sia consumati ( 117 contro 96). In crescita anche le violenze sessuali e lo stalking.

IL REINTEGRO DELLA BABY GANG NELLA SOCIETÀ

I dati, quindi, dimostrano che il recupero funziona. La peculiarità del sistema giudiziario minorile è che non si basa sulla mera punizione. Il principio del diritto penale minorile italiano si basa perseguendo sempre il recupero del minore sia con lo strumento della sanzione che con la rinuncia ad essa. Dopo l’arresto in flagranza o il fermo di polizia, inizia a carico del baby gangster il provvedimento giuridico. Durante le indagini preliminari, il Pubblico Ministero decide se il minore debba essere rimesso subito in libertà oppure condotto in un Centro di Prima Accoglienza in cui rimane per il tempo necessario all’autorità giudiziaria per decidere della sua sorte. In caso di imputazioni lievi il minore può anche essere accompagnato presso la propria abitazione o presso Comunità pubbliche, private, associazioni o cooperative riconosciute, che lo ospitano fino all’udienza di convalida. Trascorso questo periodo preliminare, il giudice stabilisce il provvedimento da adottare che può essere: la custodia cautelare ( carcerazione), ossia il trasferimento del minore in un Istituto Penale minorile prevista per i reati con pene superiori a 9 anni, giustificata dal pericolo di inquinamento delle prove, di fuga, di reiterazione del reato; il collocamento in Comunità, ovvero l’ affidamento a una comunità pubblica o autorizzata, imponendo eventuali prescrizioni sull’attività di studio o di lavoro per la sua educazione; permanenza in casa, ovvero l’obbligo di rimanere presso l’abitazione familiare o altro luogo di privata dimora con limitazioni o divieti alle facoltà del minore di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono, salvo eccezioni come le esigenze di studio o di lavoro o altre attività educative; sospensione del processo e messa alla prova, ovvero quando il giudice richiede al servizio sociale un progetto di intervento alla fine del quale sarà tratto un bilancio. Se il Tribunale ravvisa un’evoluzione della personalità dell’imputato, dichiara con sentenza l’estinzione del reato. In sostituzione delle pene detentive non superiori ai due anni possono, tuttavia, essere applicate misure di semidetenzione o libertà controllata ( liberazione condizionale) o il perdono giudiziale.

LA PROPOSTA DI ANTIGONE

La riforma in merito all’esecuzione penale minorile rientra nel testo dei decreti attuativi della riforma dell’ordinamento penitenziario ancora non passati al vaglio del consiglio dei ministri. Una prima parte della riforma dell’ordinamento penitenziario è giunta al parere delle commissioni Giustizia della Camera e a seguire del Senato. Un iter ancora tortuoso e rischia di non rispettare i tempi, per questo, ricordiamo ancora una volta, l’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini ha annunciato il suo sciopero della fame a partire dalla mezzanotte del 22 gennaio. L’associazione Antigone ha inviato le sue proposte ai parlamentari, chiedendo al governo e alle Commissioni parlamentari di colmare le parti di legge delega non attuate, quali ad esempio quelle sul diritto alla sessualità e alla affettività, sui diritti delle donne detenute, sui diritti degli stranieri, sul riconoscimento pieno della libertà di culto, sulla eliminazione di pene accessorie vessatorie e stigmatizzanti. «Inoltre – spiega il presidente di Antigone Patrizio Gonnella - è altrettanto importante che sia approvato il decreto legislativo che introduca un nuovo ordinamento penitenziario per i minori». Proprio su quest’ultimo punto, Antigone, ha recentemente presentato un dossier dove fa emergere che la giustizia minorile italiana è un sistema che funziona e del quale dobbiamo essere fieri in Europa. Riesce realmente, come già spiegato, a residualizzare il carcere e relegarlo a numeri minimi. Tuttavia, il dossier di Antigone sottolinea che in questi numeri ci sono sempre le stesse persone: gli stranieri, i ragazzi più marginali del sud Italia, tutti coloro per i quali la fragilità sociale e l’assenza di legami sul territorio rende difficile trovare percorsi alternativi alla detenzione. «La speranza – aveva spiegato Alessio Scandurra, durante la presentazione del rapporto – è quella che finalmente si scriva un ordinamento penitenziario organico specifico per i minori detenuti, nuove regole che mettano al centro in maniera radicale un progetto educativo e non repressivo e l’apertura al territorio. I ragazzi in carcere non possono essere gestiti con le stesse regole degli adulti».