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Rispunta l’ennesimo piano carceri che prevede la creazione di due nuovi istituti penitenziari. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha sempre dichiarato di essere nettamente contrario alla riforma penitenziaria, una esigenza riformatrice nata diversi anni dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’ 8 gennaio 2013, ha condannato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti in relazione al fenomeno del sovraffollamento delle carceri. Quindi il governo come affronterà il sovraffollamento penitenziario destinato ad aumentare? Il neo guardasigilli ha già pronta la risposta: costruire nuove carceri. Naufragato nel nulla la riforma dell’ordinamento penitenziario che puntava all’allargamento delle pene alternative, il nuovo governo – così come prevede il contratto stipulato tra M5S e Lega - è pronto a varare un nuovo piano carceri. Uno scenario già visto: si costruisce un nuovo contenitore, nel giro di poco si sovraffolla o si lascia inattivo per mancanza di fondi. È successo negli anni 80, poi ripetuto nel 2008 e poi nel 2010. Di fronte all’emergenza la politica, vecchia e nuova, risponde con la costruzione di nuove carceri che puntualmente non bastano mai.
Attualmente nel territorio italiano sono dislocati 190 istituti penitenziari con un sovraffollamento – dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aggiornati al 31 maggio – di circa 8000 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Già questo dato fa capire che costruire due nuove carceri non basterebbe: si riempirebbero all’istante e il sovraffollamento rimane. I numeri degli istituti, come vedremo, sono aumentati attraverso vari piani carcere, con il risultato di aumentare i posti per poi essere riempiti nuovamente. Motivo per il quale, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ( Cpt) disse all’Italia che costruire nuove carceri per risolvere il problema del sovraffollamento non è la strada giusta, perché “gli Stati europei che hanno lanciato ampi programmi di costruzione di nuovi istituti hanno infatti scoperto che la loro popolazione detenuta aumentava di concerto con la crescita della capienza penitenziaria”. Viceversa, “gli Stati che riescono a contenere il sovraffollamento sono quelli che hanno dato avvio a politiche che limitano drasticamente il ricorso alla detenzione”.
La storia penitenziaria Italiana, dati alla mano, confuta il suggerimento del Cpt. L’analisi del trend di presenze negli Istituti penitenziari non può prescindere da una lettura che tenga conto dei fattori sociali, legislativi economici e giudiziari degli ultimi decenni di storia del nostro Paese, con particolare riferimento al periodo successivo alla promulgazione della Costituzione. Non a caso, dal 1947 al 1970, assistiamo ad una significativa decarcerizzazione della popolazione detenuta, che passa da circa 65.000 a 21.000 unità nell’arco di venti anni. In seguito, dal 1971 al 1990, si registra un aumento di un terzo della popolazione carceraria, che da 21mila passa a circa 30 mila detenuti. E questo aumento combacia con la costruzione di nuove carceri del 1980: in quel contesto nacque lo scandalo delle “carceri d’oro”, quando i costi dei materiali lievitarono moltissimo.
Dai vecchi dati del Dap, ad esempio, si registra che nel 1974 c’erano 28.286 detenuti. Eppure, sono numeri ridicoli a fronte di 58.569 detenuti di oggi, nonostante – dati Istat alla mano – i reati sono diminuiti rispetto a quegli anni. In tutto questo, gli istituti penitenziari sono aumentati di diverse unità rispetto agli anni 70. Dal 1990 al 2012 assistiamo a un considerevole aumento del trend fase di alta carcerizzazione – che raddoppia la presenza dei detenuti in carcere, raggiungendo quasi 65 mila detenuti. Numeri altissimi che fecero scattare la condanna dalla Corte europea di Strasburgo per trattamento inu- mano e degradante. Parliamo della sentenza pilota Torreggiani che ha costretto il nostro Paese a rivedere la pena e trovare percorsi alternativi al carcere. Ma non fu l’unica: ci fu un precedente. Parliamo della sentenza Sulejmanovic del 2009, dove per la prima volta la Corte europea accerta la violazione dell’articolo 3 della convenzione per eccessivo sovraffollamento carcerario.
FALLIMENTO PIANO CARCERI
A seguito della sentenza Sulejmanovic, il nostro Paese ha iniziato ad interrogarsi sulle azioni da implementare per affrontare il problema del sovraffollamento. Come? Con la costruzione di nuovi Istituti penitenziari. Eppure, nel 2008, era stato già avviato un programma straordinario per la realizzazione di nuove carceri e ci riuscirono pure: dal suo avvio al 2011, il Programma di edilizia penitenziaria ha portato alla realizzazione di 85 nuovi istituti. Ma nonostante ciò, il problema non si è risolto. Dopo la sentenza Sulejmanovic del 2009, Il governo, nel dichiarare lo stato d’emergenza, è intervenuto approvando, con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 marzo 2010, n. 3861, il cosiddetto Piano carceri, destinato ad affiancarsi, senza sostituirlo, al programma di edilizia penitenziaria. Il Piano inizialmente prevedeva la programmazione di risorse finanziarie per 675 milioni di euro e prevedeva per il biennio 20112012 la realizzazione di 18 nuove carceri, di cui 10 ' flessibili' ( di prima accoglienza e a custodia attenuata, destinate a detenuti con pene lievi) cui se ne dovevano aggiungere altre 8 ( anch’esse ' flessibili') in aree strategiche, così da portare la cosiddetta capienza tollerabile delle carceri italiane a circa 80.000 unità, con un incremento complessivo di oltre 21.700 posti. L’attuazione degli interventi di edilizia penitenziaria è stata demandata dal 2010 al 2014 a Commissari ministeriali, in capo ai quali sono state accentrate le competenze attribuite in via ordinaria ai dicasteri della giustizia e delle infrastrutture. Il primo Commissario è stato il Capo del Dap e l’ultimo il Commissario straordinario del governo per le infrastrutture penitenziarie. Quest’ultimo, nominato il 3 dicembre 2012, ha cessato le sue funzioni con 5 mesi di anticipo rispetto alla scadenza originaria prevista per il 31 luglio 2014. Le sue funzioni sono quindi state riattribuite ai ministeri della Giustizia e delle Infrastrutture. Complessivamente il Piano carceri, al di là delle stime iniziali, ha portato a un miglioramento della capienza certificato dalla Corte dei Conti, pari a 4.415 posti tra 2010 e 2014. Un fallimento completo. Costruire nuove carceri non è la soluzione. I numeri lo confermano. Come si evince dall’ultimo rapporto di Antigone, il tasso di sovraffollamento è pari al 115,2%. Troppo spesso il carcere non aiuta la sicurezza dei cittadini. Dei 57.608 detenuti al 31 dicembre scorso, solo 22.253, meno del 37%, non avevano alle spalle precedenti carcerazioni. Oltre 7000 ne avevano addirittura un numero che spazia dalle 5 alle 9. Le misure alternative garantiscono assai di più l’abbattimento della recidiva e dunque la sicurezza della società. E costano anche assai di meno del carcere. Un costo, quello relativo alla creazione di nuovi istituti, moderni e confortevoli che siano, del tutto inutile e anche dannoso, perché incrementa il ricorso alla carcerizzazione. La riforma dell’ordinamento penitenziario puntava alle pene alternative, avrebbe dato la possibilità ai magistrati di sorveglianza di poter decidere anche nei confronti di quei detenuti finora esclusi dai benefici. A proposito di carcere, il Partito Radicale, nel frattempo, ha depositato in Cassazione otto proposte di legge di iniziativa popolare. Tra le quali c’è la modifica di approvazione dell’amnistia ( il quorum di 2/ 3 del Parlamento dal 1992 rende impossibili questi provvedimenti), il superamento dell’ergastolo ostativo e del regime del 41 bis.