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«La cosa peggiore? Essere additato come un malfattore, la gogna, anche da parte di quelli che consideravo amici. E poi gli arresti senza prove: come si può in uno Stato di diritto?». Il giorno dopo l’assoluzione, Marcello Pittella, ex governatore della Basilicata, racconta al Dubbio i suoi tre anni e mezzo di vita sospesa. Anni in cui la sua carriera politica, all’epoca in ascesa, è stata azzoppata, dopo esser finito nella “Sanitopoli” lucana. Ingiustamente, stando alla pronuncia dei giudici di Matera. La prima domanda è d’obbligo: come sta? Benino. In questi tre anni e mezzo è successo di tutto, anche sul piano fisico, non solo morale. Di vicissitudini ne ho attraversate tante. Ora mi sento sollevato e ho la percezione di sentirmi libero e più sereno rispetto ad un periodo vissuto con un sorriso a mezz’asta, in ombra, come se ci fosse costantemente un cielo grigio. Adesso, invece, inizia ad apparire il sereno. Com’è stato il giorno in cui le è stata notificata l’ordinanza di custodia cautelare? Sono rimasto basito. Per carattere sono un combattente, non uno che si arrende. Ma non sono mai impulsivo, bensì un ragionatore. Ho letto le carte mille volte, senza però riuscire a capire perché c’è stato quel provvedimento, che secondo me era abnorme ed eccessivo rispetto a quello che pure si poteva fare: aprire un’indagine e notificare un avviso di garanzia. Arrivare agli arresti domiciliari, per un governatore… Quel fatto ha cambiato la mia vita, quella della mia famiglia e il volto di una regione. E poi, dopo tre anni e mezzo, sono stato assolto. Questo credo debba far riflettere. Ha pensato che qualcuno volesse colpirla? Di pensieri ne ho avuti tanti, ma poi prevale il senso di responsabilità per sé e per gli altri. Non ho pensato, alla fine, che vi fosse una premeditazione o che ci fosse un tentativo di colpirmi. Non posso pensare che la magistratura agisca così, anche se di episodi ce ne sono stati tanti. E non vedo nemmeno per quale motivo dovesse accadere. Ho creduto nella buona fede e voglio continuare a farlo. Saranno poi i comportamenti a dirci se ho fatto bene a pensarla così o meno. Politicamente cosa ha significato per lei questa indagine? Mi hanno stroncato la carriera. Ero all’apice in quel momento e l’alleanza aveva riconfermato la fiducia nella mia persona. E molto probabilmente avremmo vinto di nuovo. Cose così distruggono la vita politica, l’impegno e tutto ciò che hai profuso in tanti anni e che hai messo in campo a favore dei cittadini lucani. Ti cade il mondo addosso. Com’erano stati quegli anni alla guida della Regione? Avevamo costruito tante opportunità e realizzato tante cose. È inutile fare l’elenco: abbiamo fatto un’azione a 360 gradi di cui vado fiero e di cui mi vanto. Ovviamente tutto è perfettibile e migliorabile e si può fare di più e meglio, ma mi sembra che a distanza di tre anni ci sia una sorta di nostalgia rispetto a quello che avevamo costruito e quello che invece è stato demolito e non costruito da altri. È una mia valutazione e vale quello che vale. Ma con orecchio a terra percepisco questo clima. Come sono stati quegli 87 giorni ai domiciliari? Tanti amici mi hanno sostenuto. Tanta gente ha continuato a volermi bene incondizionatamente e non ha mai creduto alle cose di cui mi incolpavano. Ma c’è stata, purtroppo, anche tanta gente che ha pensato di dileguarsi quando ha visto il maltempo. Queste cose purtroppo accadono e magari si tratta di quelle persone che sono state le più vicine per anni, chissà per quale motivo. È la macchia nera sulla camicia bianca, quelle cose che ti deprimono e ti dispiacciono. Per il resto ho vissuto quei giorni con grande grinta e risolutezza, facendo attività fisica, studiando medicina, leggendo… Una vita casalinga, passata a pensare a com’era prima la vita e a come si stava trasformando. Quando cade il mondo addosso o reagisci e provi a rialzarti o sprofondi e muori. Ed io non potevo che tentare di reagire. Si è definito un mostro da prima pagina. Purtroppo, quando accade qualcosa di non positivo i social, i giornali e le televisioni iniziano una corsa alla notizia. E bisogna tenerla in piedi, la notizia. Che a volte viene utilizzata dagli amici o dagli avversari per demonizzare. È iniziata una caccia alle streghe per la quale Pittella era il male assoluto, per colpire chi già era stato tramortito e farlo morire. Francamente, quel tritacarne mediatico è gravissimo e pesa notevolmente sulla vita di chi si trova coinvolto. Oggi che è stato assolto ha visto la stessa attenzione? Alcuni titoli sicuramente hanno reso onore a ciò che è accaduto, altri un po’ meno: sono stati un po’ più tiepidi, proprio perché non potevano farne a meno. Ma se la sentenza fosse stata meno chiara sarebbero subito partiti in quarta. Domani la notizia finirà nel dimenticatoio, mentre dopo l’arresto c’è stata un’attenzione costante: dall’interrogatorio alle carte processuali, alla prima udienza. Insomma, una telenovela, con molte puntate, come ne vediamo in tv. Oggi avremo una, due puntate e poi basta. Ovviamente mi rincuora il fatto che i social e il mio cellulare siano impazziti, con messaggi e telefonate che hanno dato ristoro alla mia persona. Ora c’è una nuova norma sulla presunzione di innocenza. Crede ci saranno passi avanti? Me lo voglio augurare. Fino al terzo grado di giudizio si è innocenti. Questo in uno Stato di diritto. Ma lei come ci è finito dentro a questa inchiesta? Le carte processuali non riportano alcuna intercettazione che mi riguardi. Se non una sorta di teorema, secondo il quale essendo governatore e quindi uomo forte non potevo non sapere. E dato che i direttori generali e i direttori amministrativi spesso si incontravano con me, le loro affermazioni sono state legate alla mia persona. Ma non c’era una mia parola con la quale indicassi cosa fare. Ero accusato di concorso morale in falso, ma sulla base di che prove? Se non c’è una prova e c’è solo un teorema indiziario la cosa non funziona. Non si possono mettere insieme diavolo e acquasanta. Durante il processo è emerso da più parti. Però sulla base di queste cose ha fatto tre mesi ai domiciliari. Com’è possibile? E infatti, com’è possibile? La Cassazione, accogliendo il mio ricorso, respinse con molta forza quanto scritto dal Riesame e rimise le carte dicendo che il quadro indiziario non era suffragato da alcuna prova. E fece una sorta di reprimenda al TdL e alla procura. Alla fine la risposta è stata identica a quella di prima: sono finito a processo e il pm ha chiesto la condanna. E mi chiedo: in quale Stato di diritto siamo? Ci sono ancora delle incompiute enormi in Italia. Com’è cambiata la sua visione della giustizia? Continuo ad avere fiducia, come ne ho nelle istituzioni. Lo dico sempre ai cittadini che hanno perso fiducia nel Parlamento, nella politica, nelle istituzioni: ci sono sì esempi negativi e mele marce, in tutte le stratificazioni della nostra società, ma non tutti sono così. C’è anche gente seria, che legge le carte, che si assume la responsabilità di scrivere alcune cose. Per cui io non posso non continuare ad avere fiducia. Della magistratura, più in generale, abbiamo letto e ascoltato di tutto e di più in Italia. Ma si tratta di un pezzo, non può essere tutta così. Qual è la cosa che l’ha ferita di più? L’essere additato come un malfattore. Quello, onestamente, mi ha molto ferito. La gogna mediatica, soprattutto dei social e il tradimento di alcuni pseudo amici. Non sento di esserlo: ho vissuto la vita onestamente e con spirito di sacrificio. Cosa farà ora? Non ho programmi, se non recuperare un po’ di serenità e salute, perché senza quello non si va da nessuna parte. E poi voglio mantenere e ascoltare il pensiero dei cittadini, come ho fatto per una vita. Senza quello dove vuoi andare? Non sono calato dall’alto o costruito in laboratorio, sono un animale da società. Voglio sentire il polso. Ma solo quando sarò più tranquillo.