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gCosì il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, si è trovato stretto in un attacco a tenaglia. Da una parte, la mozione di sfiducia annunciata a gran voce e ora anche presentata al Senato da parte dei partiti del centrodestra. Dall’altra, la pressione degli alleati di governo di Italia Viva, che ammiccano alle opposizioni non avendo ancora sciolto la riserva sul voto di sfiducia, e presentano il conto sulla prescrizione. Una e l’altra mossa, prese autonomamente, sarebbero state certo fastidiose ma innocue. Insieme, invece, creano un cortocircuito potenzialmente fatale in via Arenula.La più insidiosa è quella dei renzani, perchè è stata preparata con calcoli sottili durati settimane. Il primo tassello, la pressione per le dimissioni del direttore del Dap dopo i domiciliari ai boss, che ha gettato le fondamenta per sostanziare le critiche al ministro. Il secondo tassello, invece, è stato posato quando la ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, ha minacciato le dimissioni e guadagnato un incontro della delegazione di Italia Viva con il premier Conte. In quella sede, si è parlato non solo di regolarizzazione temporanea dei migranti, ma anche - più sommessamente - dei nodi sulla giustizia. E da allora è ricominciata a filtrare con insistenza la parola “prescrizione”, anche se nessuno dei fedelissimi di Renzi la ha mai pronunciata pubblicamente: proprio la legge sullo stop alla prescrizione tanto voluta da Bonafede e dai grillini, anche a costo di scontentare buona parte del mondo accademico e giuridico e con loro Italia Viva che si era da subito detta contraria. Oggi, col ministro infragilito dal micidiale uno-due che è stata la polemica sul carcere e lo scontro televisivo con il pm Nino Di Matteo, i renziani puntano a dare il pugno del ko. A caricare il colpo è stata Lucia Annibali (all’epoca del dibattito sullo stop alla prescrizione, era stata firmataria dell’emendamento contrario di Iv), dopo l’informativa di ieri di Bonafede alla Camera. «Le chiediamo di fare il ministro della Giustizia, non del giustizialismo», che è «la negazione stessa della giustizia», ha esordito Annibali, definendo quello con Di Matteo «uno scontro istituzionale gravissimo che se fosse capitato a un ministro della nostra parte politica avrebbe indotto il Movimento 5 stelle a manifestazioni di piazza». Poi ha affondato, pronunciando di nuovo in aula il nome del provvedimento mai digerito: «Noi non abbiamo condiviso molte norme che lei hai messo in campo, una fra tutte, l’abrogazione della prescrizione, e su questa vogliamo riprendere il prima possibile un dibattito mai concluso». La sintesi è stata impietosa: sulla giustizia «ora serve una fase 2». Come a dire, o cambia il passo o trarremo le conseguenze. Tanto è bastato ad aprire l’autostrada in cui si è subito infilato un’altra vecchia conoscenza del dibattito sulla prescrizione. Il forzista Enrico Costa, infatti, è tornato sul tema a lui caro grazie proprio alla sponda renziana: «Secondo il suo schema di processo senza fine la vera sentenza non la pronuncia il giudice a fine dibattimento ma il pm durante le indagini non in un’aula di tribunale ma dal pulpito di una conferenza stampa», ha detto, chiedendo che si dia avvio «ad una grande sessione parlamentare sulla giustizia, un patto sulla giustizia in cui le Camere tornino ad essere protagoniste, isolando gli estremisti. Conosco i dubbi dei colleghi di maggioranza che temono di compromettere la vita del governo ma se avranno il coraggio di isolare i giustizialisti noi non proveremo a strumentalizzare questo coraggio», ha concluso. E non a caso la mozione di sfiducia contro Bonafede, definito «inadeguato» per le gestione delle rivolte nelle carceri e del nodo della scarcerazione dei boss, è stata strutturata proprio per intercettare il malcontento di Italia Viva, ieri palesato anche in Aula. Con il ministro alle corde e il Pd in posizione di attenta neutralità (il dem Michele Bordo ha difeso il ministro dagli attacchi mediatici subiti e ribadito la contrarietà del Pd alla mozione di sfiducia, ma nulla più), le traiettorie di Italia Viva e centrodestra si sono incontrate, ma presto la tattica potrebbe portarle di nuovo a dividersi, visti i diversi obiettivi di fondo. Che quello dei renziani sia un gioco pericoloso, lo sanno anche i diretti interessati. Votare la sfiducia individuale al Guardasigilli vorrebbe dire aprire la crisi di governo, dunque la tattica dovrebbe essere quella di calcare la mano abbastanza da strappare una revisione della prescrizione ma non tanto da far crollare il castello di carte dell’Esecutivo. Un obiettivo ambizioso, che rischia di incrinare l’equilibrio fragile di un governo già impegnato su molti fronti.