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«Detto in parole povere, secondo la terza sezione penale della Corte di Cassazione, il parere tecnico del Consulente del Pubblico Ministero è in sé più attendibile di quello del Consulente della Difesa. Ciò deriverebbe dal fatto che il Pm è un organo pubblico, il cui compito è quello di accertare la Verità, mentre il compito del difensore è solo quello di affermare e sostenere la verità utile per la salvezza del proprio assistito». Così su Facebook il presidente dell’Unione delle camere penali italiane Gian Domenico Caiazza, commenta la sentenza della Corte di Cassazione con cui si stabilisce che il parere tecnico di un consulente della Difesa ha meno attendibilità di quello di un consulente del pm. «Naturalmente, colpisce di questa sentenza null’altro che la brutale ed esplicita chiarezza. Nessuno di noi può dirsi sorpreso da una simile affermazione, visto che noi avvocati ne scontiamo quotidianamente la ferrea vigenza nei processi che si celebrano nelle aule di giustizia. Dirò di più: se questa rivendicazione, in termini di principi generali, della superiorità degli elementi di prova raccolti dal Pm ci aiuterà a svergognare in via definitiva la storiella del processo ad armi pari davanti ad un giudice terzo ed imparziale, ben venga questa sentenza. Così almeno la piantiamo di raccontare favole», prosegue Caiazza. C’è un piccolo particolare, però, segnalo il capo dei penalisti italiani: «La parità delle parti (Pm e imputato) davanti al giudice terzo è il comando inequivoco dettato dall’art. 111 della Costituzione. E questa sentenza, ed il principio che essa afferma, letteralmente si fa beffe, ed anzi sovverte, quanto preteso senza equivoci dalla nostra Costituzione». È vero, segnala Caiazza, che il codice di rito imporrebbe «al Pubblico Ministero di ricercare le prove anche favorevoli all’imputato: ma si tratta, come è a tutti noto, di una delle norme -forse la norma- più inapplicabile e infatti più disapplicata del nostro codice di procedura penale. Ed è giusto che sia così: il Pubblico Ministero onesto, equilibrato e sereno può e deve prendere atto della prova che demolisce il proprio teorema accusatorio, se in essa si imbatte; ma pretendere che ne vada alla ricerca è pura accademia, figlia peraltro della idea inquisitoria del processo che non distingue accusatore e giudice», insiste il presidente dell'Ucpi. Nella realtà, poi, secondo Caiazza, il principio affermato dalla Cassazione viene sistematicamente smentito. «Non si comprende d’altronde per quale misterioso motivo il parere dell’esperto balistico o chimico o tanatologico nominato dal PM dovrebbe avere valore ed attendibilità scientifiche superiori a quelle dei suoi colleghi nominati dalla difesa. Al contrario, nel proprio sforzo confutativo della tesi accusatoria è assai frequente che l’imputato, soprattutto se è in grado di sostenerne le spese, nomini consulenti più qualificati, e spesso di gran lunga più qualificati, di quelli nominati dall’ufficio di Procura», rimarca Caiazza. «La valutazione del Giudice, dunque, non può che essere di merito: assegnare questo odioso ed ingiustificabile vantaggio all’accusa, e dunque questo pesante handicap alla difesa, la dice lunga sulla idea che i giudici nutrono, nel nostro Paese, del processo accusatorio. La magistratura italiana è, davvero con rarissime eccezioni, irrimediabilmente ostile al sistema processuale accusatorio, all’idea del processo delle parti, alla formazione della prova in dibattimento in un contraddittorio paritario», argomenta il capo dei penalisti. Poi l'arringa finale: «Il sistema accusatorio, infatti, diffida della prova raccolta da PM e polizia giudiziaria in solitudine, interrogando testi nel chiuso di uno stanzino di una caserma, e nominando consulenti il cui lavoro - e la cui conferma in successivi incarichi - è fortemente condizionato dalla inclinazione a compiacere e supportare la tesi dell’Accusa. Tutto questo materiale, nel processo accusatorio, vale tutt’al più ai fini di rinviarti a giudizio; poi è carta straccia o poco più, perché la prova andrà formata alla luce del sole, in dibattimento, davanti ad un giudice terzo. Un sistema indigeribile per la magistratura italiana, che sin dal primo giorno del nuovo codice ha infatti provveduto a mutilarne i connotati distintivi, e da allora non ha mai smesso. Quest’ultima è solo una piccola ciliegina su una torta sontuosamente imbandita nel corso degli anni; in barba a Giuliano Vassalli, all’art. 111 della Costituzione, ed alle fastidiose pretese paritarie del difensore, che con la ricostruzione della verità ha poco o niente a che fare. Quello è il lavoro dei Pubblici Ministeri, perbacco!», conclude Caiazza.