La sentenza numero 35463 della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza su un importante aspetto del diritto penitenziario italiano, riguardante in particolare i detenuti sottoposti al regime del 41bis. Il caso di Alessio Attanasio, un detenuto che aveva presentato un reclamo contro il diniego di inoltro di un’istanza al ministro della Giustizia, ha portato alla luce alcune criticità procedurali e ha offerto l’opportunità alla Suprema Corte di ribadire principi fondamentali.

Attanasio, trasferito da un carcere all’altro, aveva visto respinto il suo reclamo dal Magistrato di sorveglianza, il quale aveva motivato la decisione sostenendo che il trasferimento avesse determinato una “sopravvenuta carenza d’interesse” all’impugnazione. In sostanza, secondo il Magistrato, il detenuto non aveva più motivo di insistere con la sua richiesta, essendo stato spostato in un altro istituto. La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso di Attanasio, ha però espresso un parere diametralmente opposto. I giudici di legittimità hanno sottolineato che la decisione del Magistrato di sorveglianza era affetta da un errore di diritto.

In primo luogo, ha ribadito l'importanza cruciale del contraddittorio nei procedimenti di sorveglianza. Anche quando un caso può sembrare di facile risoluzione, il detenuto deve sempre avere l'opportunità di presentare le proprie argomentazioni direttamente al Magistrato di sorveglianza. Questo principio garantisce che ogni decisione sia presa dopo aver considerato attentamente tutte le prospettive in gioco. La Cassazione ha inoltre affrontato la questione dell'interesse a impugnare in relazione ai trasferimenti dei detenuti. Ha chiarito che tale interesse non si estingue automaticamente quando un detenuto viene spostato da un istituto penitenziario all'altro.

Se l'oggetto del reclamo non è intrinsecamente legato a una specifica struttura carceraria, il detenuto mantiene il diritto di vedere la sua questione esaminata e risolta, indipendentemente dalla sua nuova collocazione. Infine, la Cassazione ha riaffermato il principio della perpetuatio iurisdictionis nel contesto penitenziario. Questo concetto giuridico stabilisce che, una volta avviata una controversia, la competenza del giudice a decidere su di essa rimane inalterata, anche se il detenuto viene trasferito in un'altra giurisdizione. Questo principio assicura continuità e coerenza nel processo giudiziario, evitando potenziali interruzioni o complicazioni dovute a cambiamenti nella situazione logistica del detenuto.

Questa sentenza della Cassazione ha un’importanza che va oltre il singolo caso. Essa rappresenta un passo avanti nella tutela dei diritti dei detenuti, in particolare di quelli sottoposti al regime del 41 bis dove i diritti subiscono una compressione. Tuttavia, la ragione per cui è stato introdotto non era quella di infliggere sofferenze inutili, ma solo di impedire ai detenuti di far inviare ordini al proprio gruppo criminale di appartenenza. La Corte ha quindi stabilito che i detenuti, pur essendo privati della libertà, conservano i loro diritti fondamentali, nel rispetto dei limiti previsti dalla legge.