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enrico costa
Se la Procura appella una sentenza di assoluzione e l’imputato viene nuovamente assolto, questa insistenza senza esito del magistrato andrebbe presa in considerazione ai fini delle valutazioni di professionalità. È la nuova mozione garantista del responsabile Giustizia di Azione, il deputato Enrico Costa. Il parlamentare la formalizzerà come sub-emendamento alle proposte governative per la riforma del Csm e, nel caso non passasse, come singola proposta di legge. «Certamente questa mia iniziativa, se approvata, – ci dice Costa – non scongiurerebbe del tutto le impugnazioni delle sentenze di assoluzione», tuttavia «le confinerebbe all’interno di un perimetro di grande ponderazione, in quanto il magistrato sentirebbe una maggiore responsabilità nel valutare la possibilità di proporre appello». Il principio sottostante l’idea di Costa è chiaro: «Se una persona ha già subito un processo, che rappresenta di per sé una pena, ed è stata assolta, è evidente che un’impugnazione deve poggiare su elementi solidi, e non in un semplice puntiglio del pm o in un immotivato innamoramento nelle tesi accusatorie». La questione si inserisce in quella più estesa dell’inappellabilità delle sentenze di assoluzione che è storia vecchia, arrivata com’è noto all’attenzione della Corte costituzionale. Da ultimo, prima la commissione Lattanzi aveva proposto di negare alla parte pubblica la possibilità di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, poi, dopo che l’ipotesi del gruppo di esperti era rimasta esclusa dal ddl penale, è stata alcune settimane fa Forza Italia a ripresentare in Senato la legge a suo tempo voluta da Gaetano Pecorella. «La logica che guida tali soluzioni è ineccepibile – ci disse un ex magistrato come Nello Rossi – . Se si può emettere una sentenza di condanna solo quando la colpevolezza dell’imputato è provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”, il giudice di primo grado che assolve ha espresso la certezza dell’innocenza o almeno ha nutrito un dubbio ragionevole sulla responsabilità dell’imputato. Si badi: un dubbio ragionevole, cioè consistente, significativo, non un dubbio meramente ipotetico o cervellotico. E poiché il giudice è, fino a prova contraria, un essere ragionevole, il suo dubbio non può essere superato solo perché il giudice “che viene dopo”, cioè il giudice di appello, si dichiara di diverso avviso, optando per la colpevolezza». Il suggerimento della Commissione Lattanzi era stato accantonato anche perché strettamente legato a una modifica peggiorativa dal punto di vista della difesa, la possibilità di appello solo se formulato “a critica vincolata”. Escluso questo punto, per l’opposizione dell’avvocatura, è venuto a mancare anche l’altro: non si potevano scontentare solo i pm. Ecco perché Costa pensa alla “terza via” descritta all’inizio: «Se un magistrato decide non dico di accanirsi ma di insistere con la sua tesi accusatoria e la sua prognosi si rivela errata un’altra volta, allora questo deve concorrere alla sua valutazione. Se non sente il peso di tenere in scacco la vita di una persona, almeno sentirà quello di una valutazione negativa di professionalità». I magistrati vengono valutati ogni quattro anni secondo i seguenti parametri: indipendenza, imparzialità ed equilibrio; capacità; impegno; diligenza; laboriosità. La ‘capacità’, ci ricorda Costa, «si desume anche "dal possesso delle tecniche di argomentazione e di indagine, anche in relazione all’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento". Questa parte va sicuramente modificata in sede di riforma del Csm perché gli esiti vanno stabiliti in modo preciso e puntuale. Ma dovremmo fare anche un passo ulteriore, ossia quello di valutare altresì in base alle ingiustificate impugnazioni, a cui sono seguite le assoluzioni». Costa si muove anche sulla scia della riforma Cartabia del processo penale: «Voglio legare la mia iniziativa alla riforma della ministra, che ha introdotto, anche nei casi di citazione diretta a giudizio, la prognosi di una ragionevole previsione di condanna. La ratio sottesa è quella di non mandare a processo qualcuno solo per verificare le carte. La stessa cosa deve avvenire per l’appello. Se l’impugnazione di un magistrato risulta superficiale, questa superficialità deve emergere nel suo fascicolo professionale».