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Il trapper Jordan Jeffrey Baby, all’anagrafe Jordan Tinti, si è suicidato in una cella del carcere di Torre del Gallo a Pavia, dove stava scontando una pena a 4 anni e 4 mesi. Il cadavere del 27enne è stato trovato con una corda intorno al collo. Già nel 2023 il trapper aveva provato due volte a togliersi la vita: un primo tentativo di suicidio era stato sventato dalle guardie penitenziarie a fine gennaio 2023, e anche quella volta era stato trovato con un cappio al collo. Una cosa che si era ripetuta di nuovo poche settimane dopo. All’epoca il suo legale, l’avvocato Federico Edoardo Pisani, aveva dichiarato: «Purtroppo è caduto nello sconforto più totale dopo l’ennesimo riscontro negativo del Tribunale, è arrivato al limite sia fisico che soprattutto psicologico». Per l’avvocato Federico Pisani si trattava di una «situazione ormai insostenibile. Peraltro qualche settimana fa il mio cliente aveva subito una violenza in cella di cui ha presentato denuncia. Ho fatto notare tutti questi aspetti al giudice, che però ha rigettato nuovamente la mia richiesta. Non chiedo la scarcerazione, ma che la detenzione continui ai domiciliari. Una misura che non solo garantirebbe la sicurezza e l’incolumità di Jordan, ma anche una maggior serenità al padre. Da quando è entrato in carcere Jordan si è sempre comportato correttamente, inoltre ha presentato dichiarazioni spontanee ai giudici e si è offerto di corrispondere un risarcimento alla vittima: come si fa non tenere in considerazione tutti questi aspetti?».
Nell'aprile 2023 Jordan era stato riconosciuto colpevole di rapina aggravata dall'odio razziale, ai danni di un operaio di 42 anni originario della Nigeria. L'aggressione era avvenuta in un sottopassaggio della stazione di Carnate (Monza e Brianza). L’episodio, aggravato da insulti razzisti, era stato filmato e il video era stato pubblicato su YouTube. Insieme a lui aveva partecipato alla rapina anche il trapper romano Traffik (nome d'arte di Gianmarco Fagà), condannato a cinque anni e quattro mesi. I due avevano sottratto la bici e lo zaino all’uomo. Tre mesi fa Jordan Tinti era stato trasferito in una comunità pavese, dopo aver ottenuto l'affidamento terapeutico. La misura era però stata sospesa perché «nella sua stanza sarebbero stati trovati un cellulare e delle sigarette, che però non è certo fossero di sua proprietà», come ha spiegato dall’avvocato Federico Edoardo Pisani a Fanpage. Poi il ritorno nello stesso carcere in cui aveva denunciato di aver subito maltrattamenti e dove aveva tentato il suicidio: «È stato violentato e maltrattato. Ci sono due procedimenti in Tribunale a Pavia. In uno siamo costituiti parte civile. Nell’altro ci siamo opposti alla richiesta di archiviazione», aveva dichiarato il legale. L’avvocato Pisani aggiunge: «L'ho sentito al telefono ieri pomeriggio alle 17 e ci siamo lungamente parlati e l’ho rassicurato. Invece stamattina mi ha telefonato suo padre in lacrime dicendomi che era morto. Jordan aveva solo bisogno di essere aiutato. Era vittima dello stesso personaggio che si era costruito. Era una delle persone più educate che io avessi mai conosciuto».
Nel carcere di Pavia in questi anni molte persone si sono tolte la vita: 6 nel 2022 dopo altri 3 in rapida sequenza negli ultimi mesi del 2021. I sindacati della Polizia penitenziaria lamentano sia i rischi per il personale sia le carenze d'organico.
Il suicidio di Jordan Tinti non è l’unico nella giornata di ieri. Nel carcere di Secondigliano si è tolto la vita un detenuto straniero, Robert di 33 anni. È il quinto in Campania, da inizio 2024. Come rileva il Garante campano delle persone private della libertà personale, Samuele Ciambriello: «Il tasso di suicidi in carcere è 20 volte superiore ai suicidi delle persone libere. Occorrono risposte concrete qui e ora, prima che ci sia l'irreparabile. Ciambriello aggiunge: «Le motivazioni che spingono al suicidio sono molteplici. Robert L. era un senza fissa dimora entrato in carcere per omicidio. Era balzato agli onori della cronaca nell'agosto del 2019 per essere stato l'unico detenuto evaso dal carcere di Poggioreale in cento anni di storia. I suicidi in carcere sono anche il prodotto di un clima culturale e politico. Più il dibattito pubblico ritiene che il carcere sia un posto esterno alla società, da dimenticare, senza non discutere mai di come cambiare le cose, mai riformarlo, mai attuare la Costituzione, peggio è. Infondo lo stigma e la solitudine di chi entra e di chi esce dal carcere uccidono di più degli edifici degradati. Se andiamo a vedere l'età delle persone che si sono tolte la vita in questi anni in carcere in Italia, la media è di meno di quarant'anni».
Con i suicidi di Jordan e di Robert sale drammaticamente il numero delle persone che si sono tolte la vita in carcere dall’inizio dell’anno: 23, considerando anche l’immigrato che si è sucidato nel Cpr di Roma il 6 febbraio.