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Un emendamento di Pd e governo propone di inserire nel decreto fiscale le norme sull'equo compenso per gli avvocati
Una dichiarazione sostitutiva dei redditi falsa o incompleta non comporta automaticamente la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato se, effettivamente, i redditi sono inferiori alla soglia dei 11.369,24 euro, fissata dalla legge. Almeno fino a quando non è intervenuta una condanna per il reato di falsa dichiarazione, che sancisce, dunque, il dolo. A stabilirlo sono le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che hanno ribadito il principio alla base di tale istituto: la tutela del diritto inviolabile alla difesa per la persona sprovvista di mezzi economici, sancito dalla Costituzione. La sentenza risale a dicembre scorso, ma le motivazioni sono state depositate il 12 maggio. A porre la questione è stata la Quarta Sezione penale della Cassazione, interpellata dopo il no del Tribunale di Castrovillari all’ammissione al gratuito patrocinio richiesta da P. M., a causa dell'omessa dichiarazione dei redditi di alcuni componenti del nucleo familiare, scoperta a seguito di un controllo della Finanza. Ma quei redditi erano «comunque inidonei a determinare il superamento dei limiti di reddito fissati». Il legale di P. M. impugnando la decisione, ha denunciato il contrasto tra la decisione assunta dai giudici di merito e «i principi direttivi della Costituzione europea nonché della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che sanciscono l'obbligo per gli Stati membri di garantire in modo effettivo e concreto il diritto di difesa dei non abbienti». Per la Quarta sezione penale, ad essere indicativa sarebbe la falsità della dichiarazione, nonostante l’effettivo stato di povertà di P. M., in quanto connessa «all'ammissibilità dell'istanza e non a quella del beneficio», dal momento che «solo l'istanza ammissibile genera obbligo del magistrato di decidere nel merito», rendendo, dunque, irrilevante l’effettivo stato delle finanze dell’uomo. Le Sezioni Unite partono però da un assunto «pacifico e non contestato» a P. M.: uno stato reddituale tale da ritenerlo «legittimato alla concessione del beneficio». Ed è questo, dunque, il nucleo fondamentale che ha portato i giudici a sancire l’illegittimità della decisione dei colleghi calabresi, che dunque dovranno ora sottoporre la questione a un nuovo esame. Ciò in quanto «il sistema vigente non contempla alcuna automaticità della revoca del patrocinio a spese dello Stato nel caso in cui il reddito non dichiarato non vada ad incidere sulla soglia prevista dalla norma per l'ammissione al beneficio». Di conseguenza, solo nel caso in cui il reddito reale risulti poi non compatibile con la concessione del beneficio, «l'ufficio finanziario richiederà il provvedimento di revoca». Per le Sezioni Unite, infatti, la revoca può intervenire se risulta provata ( o comunque deducibile) «la mancanza originaria delle condizioni reddituali» ed in caso di condanna per il reato di falsa dichiarazione, ovvero una volta appurato il fatto sotto tutti i suoi profili, soggettivi e oggettivi, in quanto «il dolo generico deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell'agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo».