PHOTO
giustizia
di LIVIO PEPINO* e STEFANO MUSOLINO**
L’UGUAglianza delle persone davanti alla legge e la tutela dei diritti sono il banco di prova delle democrazie contemporanee. Ciò sta scritto nelle Costituzioni del Novecento (a cominciare da quella del nostro Paese) ma spesso – troppo spesso – resta un obiettivo irrealizzato. Così la giustizia sembra talvolta ridursi, da orizzonte di una vita decorosa e serena per tutti, a insieme di procedure per risolvere controversie e conflitti. Con conseguenze assai gravi sulla politica, sulla giurisdizione e, soprattutto, sulle condizioni delle persone. Lo ha affermato di recente, parlando a un pubblico di giuristi in occasione del XX congresso della Associazione internazionale di diritto penale, papa Francesco: «Oggi, alcuni settori economici esercitano più potere che gli stessi Stati: una realtà che risulta ancora più evidente in tempi di globalizzazione del capitale speculativo. Il principio di massimizzazione del profitto, isolato da ogni altra considerazione, conduce a un modello di esclusione – automatico! - che infierisce con violenza su coloro che patiscono nel presente i suoi costi sociali ed economici, mentre si condannano le generazioni future a pagarne i costi ambientali. La prima cosa che dovrebbero chiedersi i giuristi oggi è che cosa poter fare con il proprio sapere per contrastare questo fenomeno, che mette a rischio le istituzioni democratiche e lo stesso sviluppo dell’umanità». In questo contesto ha fatto irruzione un fenomeno devastante per il sistema dei diritti: il cosiddetto populismo, caratterizzato, tra l’altro, da un diffuso «scontento verso le procedure della democrazia, considerate troppo lente, macchinose e distanti dalla volontà del popolo con l’enfatizzazione del ruolo di capi politici, diretti interpreti della volontà dei cittadini» (Nello Rossi). Ciò ha avuto pesanti ricadute anche nel settore giustizia, acuendo anomalie preesistenti come l’uso spregiudicato di leggi “manifesto” per lanciare messaggi culturali più che per regolamentare razionalmente fenomeni e situazioni, il ricorso all’aumento delle pene edittali a fronte di ogni (asserita) emergenza, la produzione di norme volutamente vaghe e indeterminate. Non solo ma – fatto ancor più grave - ha alimentato l’insofferenza nei confronti delle regole e delle garanzie e la diffidenza verso i magistrati (ritenuti non legittimati dalla volontà del popolo) e i giuristi in genere sino a far vacillare l’aurea massima del garantismo secondo cui «deve poter esserci un giudice indipendente che interviene a riparare i torti subiti, a tutelare il singolo anche se la maggior parte o persino la totalità degli altri si schierano contro di lui, ad assolvere in mancanza di prove quando l’opinione comune vorrebbe la condanna o a condannare in presenza di prove quando la medesima opinione vorrebbe l’assoluzione» (Luigi Ferrajoli). L’effetto è evidente: nella prospettiva del populismo «il pubblico ministero o il giudice diventano magistrati di scopo: devono punire, duramente, il guidatore sbadato, per ammonire tutti i guidatori, devono sanzionare il politico o il pubblico funzionario accusati di malversazione perché rientrano nel tipo d’autore che il populismo ha configurato, devono sempre e comunque assolvere il cittadino che ha ucciso il ladro. L’alleanza con il Giudiziario è una componente essenziale di questo populismo, perché attraverso il Giudiziario il nemico può essere individuato, segnalato alla pubblica opinione e punito» (Luciano Violante). Ciò – superfluo dirlo – ha condizionato e condiziona la giurisdizione, nonostante alcune significative resistenze in settori della magistratura. Che fare, in questo clima, per inverare un ruolo dei giuristi e della giurisdizione di effettiva tutela dei diritti fondamentali? Inutile auspicare un cambio d’indirizzo della politica, tanto necessario quanto, nei tempi brevi, irrealistico. E non basta il richiamo ai valori costituzionali e alla necessità di una loro applicazione rigorosa: richiamo sacrosanto, ovviamente, ma da solo destinato a soccombere di fronte ai continui attacchi, diretti e indiretti. Occorre un salto di qualità: l’apertura, nel mondo dei giuristi, di una fase nuova, all’altezza di quella che caratterizzò la stagione a cavallo degli anni Settanta e del “disgelo costituzionale”. Si colloca qui il progetto di “Parole di giustizia” promosso dall’Associazione studi giuridici Giuseppe Borrè, approdato quest’anno a Urbino e a Pesaro, grazie alla sensibilità e lungimiranza del Dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli studi Carlo Bo e alla collaborazione di Magistratura democratica e dell’Ordine degli avvocati di Pesaro: un appuntamento annuale teso a recuperare la consapevolezza del carattere etico e politico oltre (e prima) che tecnico della questione giustizia. Un appuntamento che coinvolge magistrati, avvocati, docenti universitari, giornalisti ed esperti di comunicazione in dibattiti, dialoghi, lezioni magistrali e interviste che intendono portare i temi della giustizia tra chi ne è destinatario, a cominciare dai cittadini e dalle cittadine, dagli studenti e dalle studentesse. Si parlerà, quest’anno, come dice il titolo (In-sicurezza. Giustizia, diritti, informazione) di vita delle persone, di sicurezza, di paure. «Vivere bene», in una integrazione rassicurante con chi ci sta accanto e al riparo da aggressioni alla propria incolumità, ai propri affetti e ai propri beni, è la sacrosanta aspirazione di tutti. I Costituenti americani del Settecento la chiamarono «diritto alla felicità ». Nella seconda metà del secolo scorso le grandi Costituzioni contemporanee hanno individuato nella giustizia sociale lo strumento per raggiungere quell’obiettivo. Ma oggi il diritto alla felicità sembra soppiantato dalla paura diffusa e dall’intolleranza e lo Stato sociale si trasforma sempre più in Stato penale. All’analisi di questo arcipelago e dei suoi effetti sui diritti, sulla politica, sulla legislazione, sul modo di amministrare la giustizia è dedicata questa edizione di “Parole di giustizia”.*Presidente associazione studi giuridici "Giuseppe Borrè" **Segretario Magistratura democratica