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Si apre con la presa di posizione netta del presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi, il primo Congresso nazionale dei magistrati amministrativi, a Palazzo Spada a Roma. Di fronte allo scandalo che ha investito la magistratura e il Csm nelle ultime settimane ( ma anche al contrastato rapporto con la politica) Patroni Griffi detta una linea precisa per i magistrati amministrativi: un magistrato «non può avere un proprio pensiero che non sia in linea con i valori fondamentali posti alla base della Costituzione su cui ha giurato» ; «non può liberamente manifestare il proprio pensiero, se questo pensiero sia riferibile alla propria attività giudiziaria o se possa essere letto, o anche strumentalizzato, in modo che ne risulti appannata la sua terzietà» ; ma soprattutto «non può frequentare abitualmente chiunque, tutte le volte in cui queste frequentazioni possano ripercuotersi negativamente sulla sua attività giudiziaria o possano dare oggettivamente la sensazione che un appannamento della terzietà possa verificarsi». Non solo, occorre che i magistrati «resistano alla tentazione di fare delle uscite pubbliche istituzionali l’occasione per esprimere visioni del mondo opinabili soggettive e di carattere politico». In sintesi, le virtù del magistrato devono essere «misura, equilibrio, competenza e pertinenza», solo a questa responsabilità consegue «il dovere delle altre istituzioni di portare rispetto per l’autonomia del giudice nel rendere giustizia».
Un decalogo duro e netto, che viene presentato nella relazione introduttiva di Patroni Griffi, dal titolo emblematico “Il giudice amministrativo oggi: ruolo, etica, responsabilità”. Nessun riferimento diretto, come ovvio, alla vicenda che sta sconquassando i togati italiani, ma il riferimento è quantomai chiaro. Secondo il presidente - che ha delineato il ruolo del giudice amministrativo come «giudice dei pubblici poteri a tutela dei diritti e degli interessi degli individui e delle imprese, garante indiretto della legalità nell’ordinamento» - l’unico riferimento del giudice deve essere «soltanto la legge», fondamento «di ogni forma di garanzia di indipendenza interna e d esterna, nonchè dell’autonomia della magistratura». All’ «ampiezza di poteri del giudice», infatti, «non può non corrispondere un’assunzione di responsabilità», che trova la sua fonte di legittimazione nella costruzione di un «sistema di riferimento etico e deontologico, capace di arginare ogni forma di arbitrio e condizionamento», che «possa offuscarne l’immagine di terzietà».
Patroni Griffi, poi, si è concentrato sulla tutela data dal processo amministrativo: «L’effettività della tutela vuol dire effettività degli interessi tutelati», riconducendo «a condizioni di assoluta parità nel processo posizioni fisiologicamente sbilanciate in favore dell’amministrazione», è questo il «senso ultimo del giusto processo, applicato al processo amministrativo».
«L’associazionismo sindacale è un fenomeno positivo perchè favorisce il dibattito», ma «non può condurre alla sindacalizzazione di ogni aspetto della vita del magistrato, dalle carriere agli incarichi, esterni e interni alla giurisdizione, ai profili disciplinari». In una parola, Patroni Griffi censura l’associazionismo delle toghe come fenomeno di «appartenenza», «declinato in una rivendicazione del proprio valore per il solo fatto che “si è”, fondato su logiche meramente distributive, che prescindano dal merito delle persone e delle questioni». Addirittura, il vertice dei magistrati amministrativi censura apertamente «ogni logica di cordata nella gestione delle questioni disciplinari» e rifugge l’idea di un «governo “corporativo”, anzichè autonomo, della magistratura» ; bollandolo come «il contrario di ciò che indusse il costituente a istituire la funzione di autogoverno». E sottolinea come «La logica che deve presiedere l’autogoverno deve essere di tipo istituzionale, non si può fare condizionare da considerazioni corporative, associative o di appartenenza»»
Tra le declinazioni di etica pubblica del magistrato, Patroni Griffi individua anche il rapporto con l’avvocatura: «I rapporti tra magistrati e avvocari devono essere improntati a comuni principi di etica professionale», con «il dovere di massimo rispetto, anche formale, dei difensori in udienza». Secondo il presidente del Consiglio di Stato, infatti, «avvocati e giudici sono insieme nel processo, il diritto giurisprudenziale è frutto del lavoro congiunto, seppur distino, di giudici e avvocati, del loro dialogo e del confronto». Il giudice, infatti, dovrebbe coltivare «l’arte del dubbio» e la «consapevolezza del carattere sempre relativo e incerto della verità processuale» .
In conclusione della relazione, Patroni Griffi ha definito «non rinviabile» la riforma del procedimento e delle sanzioni disciplinari per i magistrati, sottolinenando come lo stesso premier Conte abbia condiviso l’indicazione. La magistratura, infatti, «è tenuta a ricercare nella competenza e non nell’appartenenza la propria legittimazione istituzionale» e la sua «autoreferenzialità, il pensare di essere al centor dei meccanismi istituzionali, è un errore di superbia che trasforma qualsiasi elite in casta».
Un monito deciso e circoscritto, quello di Patroni Griffi, che denota tutta la gravità della situazione scoppiata nel cuore della magistratura con il caso Palamara che ha coinvolto il Csm, ma anche con lo scontro tra le toghe e il Viminale ( che avrebbe predisposto una sorta di dossier sulle condotte dei giudici che si sono pronunciati contro il decreto Sicurezza e il divieto di iscrizione all’anagrafe dei migranti). Al centro in ogni caso torna prepotentemente la “questione morale” per le toghe e da qui parte il richiamo di Palazzo Spada, che delinea la figura del magistrato - amministrativo o ordinario ideale come chi sappia «coltivare l’arte del dubbio nella consapevolezza del dover decidere», ma sempre nella rigorosa interpretazione della legge e senza cedere alle lusinghe esterne, che ne comprometterebbero la funzione di terzietà e imparzialità, fissate a garanzia dei cittadini. In questo senso, Patroni Griffi ha concluso con una citazione, invitando a far sì che il «giudice e la giurisdizione abbiano una collocazione utile tra i poteri e la società» e a non tradurre in pratica l’incubo paventato da Adam Smith: “Il giudice è necessario, e tuttavia di tutte le cose è la più terribile”.