È finito sotto inchiesta l’ex direttore del carcere di Padova Salvatore Pirruccio per aver declassato 12 detenuti dall’alta sicurezza al regime comune istituendo la commissione di valutazione a conti già fatti. Ma il direttore ha il potere decisionale per effettuare il declassamento? La riposta è no. Ripercorriamo la vicenda fin dall’inizio. La storia – della quale già se ne occupò il Dubbio a dicembre dell’anno scorso – nasce da un’inchiesta generica della procura di Padova che mise sotto la lente d’ingrandimento le declassificazioni, come se dietro ci fosse qualcosa di anomalo o ambiguo. Un’inchiesta legata a quella del traffico di droga che avveniva all’interno del carcere. Eppure è difficile capire quale sia il legame tra le due cose. Il traffico di droga e di cellulari avviene in molte carceri italiane e indistintamente tra detenzione dura o tenue. L’ultimo caso riguarda l’istituto penitenziario romano di Rebibbia.
Ma in quale contesto avvennero le declassificazioni? Nell’aprile del 2015 è stato chiuso il reparto di alta sorveglianza ( As3), il regime duro riservato a condannati per reati di tipo associativo ( mafia, traffico di droga a livello internazionale, sequestri di persona, reati di terrorismo) per una sorveglianza più stretta rispetto ai ' comuni' in quanto inseriti nella criminalità organizzata. È stato un duro colpo per molti di quei detenuti che avevano intrapreso un percorso di cambiamento legato al territorio padovano e, interrompendolo, hanno subito un forte danno; inoltre c’è da ricordare che da qualche anno - proprio all’interno del carcere di Padova - vengono organizzati dalla redazione di Ristretti Orizzonti dei convegni con docenti universitari, giuristi e persone esterne, ai quali intervengono anche detenuti ristretti in sezioni di alta sicurezza. Detenuti che collaborano attivamente sia con la redazione di Ristretti Orizzonti, sia con la cooperativa Giotto considerata un esempio virtuoso anche dall’ex premier Matteo Renzi quando visitò il carcere di Padova.
Secondo quanto riportato da alcuni organi della stampa, l’attuale inchiesta che ha puntato i riflettori nei confronti dell’ex direttore Pirruccio, pone sotto accusa anche la coincidenza che tutti i detenuti “salvati” dal trasferimento lavorassero proprio nelle cooperative Giotto e Ristretti Orizzonti. In realtà, Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, raggiunta da Il Dubbio, respinge questa ricostruzione spiegando che nessuno dei 12 declassificati collabora con loro. Anzi, ci sono cinque reclusi in As1 ( sezione di alta sorveglianza che attualmente ospita 18 detenuti) che non sono declassificati e partecipano attivamente alla loro attività. Eppure, anche se la ricostruzione fosse stata vera, è difficile cogliere l’eventuale anomalia: vuol dire che il percorso rieducativo funziona e per ovviare all’interruzione dovuto dal trasferimento, alcuni detenuti reclusi in As3, per i quali era stato verificato il raggiungimento di obiettivi risultati di progressione trattamentale come prevede l’ordinamento penitenziario, sono stati declassificati e ristretti assieme agli altri detenuti comuni di media sorveglianza.
Inoltre, c’è da dire che il Dap – attraverso il parere della competente Procura Distrettuale Antimafia– non ha accolto tutte le proposte di declassificazioni. Anche perché la declassificazione non la decide il direttore del carcere e la procedura è chiara: prevede che le singole direzioni penitenziarie, d’ufficio o a richiesta di parte, inoltrino alla direzione generale detenuti e trattamento le proposte di fuoriuscita dal circuito di alta sicurezza, corredate dal parere fornito dal gruppo di osservazione e da tutta la documentazione giudiziaria posseduta, nonché le informazioni all’uopo assunte presso organi investigativi qualificati. Ciò significa che la proposta di declassificazione che giunge sul tavolo è comunque completa, compresa la valutazione della commissione. Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti e sempre in prima fila per la difesa dei diritti dei detenuti, ha spiegato a Il Dubbio che la declassificazione, in realtà, è stata applicata raramente e ciò lo considera uno sbaglio. «Come prevede l’ordinamento penitenziario – aveva spiegato la direttrice - ogni sei mesi andrebbe svolta una verifica su ogni detenuto recluso nel regime di alta sorveglianza per valutare se abbia raggiunto i requisiti per ricevere una carcerazione più tenue». Quelli che vengono ' declassificati' non sono quindi restituiti alla libertà. Il che «non significa regalargli chissà quali privilegi – spiega sempre Favero -, significa solo trattarli un po’ più da persone e un po’ meno da merci da scaricare da un carcere all’altro. O pedine da spostare su una scacchiera per rendere più funzionali quei circuiti, nati nell’emergenza e fatti per durare il tempo necessario per superare quella fase e dilatati invece all’infinito come succede per tutte le emergenze nel nostro Paese». Il sospetto da parte della direttrice di Ristretti Orizzonti è che questi “scandali” servano per bloccare determinati percorsi volti alla riabilitazione del detenuto.