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Attesa. Oggi c’è la videochiamata. Cellulare sempre in mano perché se la perdi non la puoi più recuperare. 15 minuti per dirsi un’infinità di cose. 15 minuti per leggergli negli occhi, per interpretare il suo sguardo, i suoi gesti; per comprendere quello che sta dietro alle parole, alle frasi. 15 minuti per riuscire a capire la sfumatura di verità che oggi avrà quel “Tutto bene amore...fidati...” Finalmente ecco comparire il numero non registrato in rubrica, il cellulare vibra e le mani, come sempre, tremano un po’ accettando la chiamata. A volte compare subito il suo volto, a volte un ambiente che non conosco, che è fatto solo da un muro in secondo piano, uno spazio vuoto e impersonale. Sempre quel sottofondo disturbato di voci metalliche e tonanti lontane, di sedie spostate e di porte sbattute che precede l’inizio dell’incontro a lungo atteso. Ora a riempire lo schermo, per me, c’è solo l’immagine dell’amore della mia vita, il resto lo cancello. Mi sforzo di isolare la sua voce dai disturbi sonori, continui e fastidiosi. - “Sciatu mio”. Lui mi saluta sempre così, un'espressione siciliana che significa sei il mio fiato, sei il mio respiro. Per me è sempre un pugno al cuore che mi strozza la gola perché so che gli manco davvero come il fiato, lo so perché io provo la stessa cosa. Ora ancora di più, da quando per la seconda volta ci hanno tolto i giorni di permesso, quei giorni in cui respiravamo la stessa aria. L’aria innamorata della nostra casa, della nostra stanza, del nostro giardino.- “Ciao amore mio...”. Capisco subito che qualcosa non va, non mi serve tempo per decifrare o per leggere oltre. Oggi ha due mascherine, quella FFP2 che gli ho spedito e quella di stoffa che si è cucito lui; le mani ricoperte da quei guanti larghi e grandi che solitamente indossiamo ai reparti frutta e verdura del supermercato, lo rendono goffo e impacciato. È irrequieto, impiega più del solito a sedersi e a sistemarsi. Continua a chiedere di chiudere per piacere la porta. - Allarmata chiedo: “Cosa c’è amore, come stai? Tutto bene?” Un interminabile momento di silenzio, il tempo che di solito si prende per trovare le parole adatte a dire qualcosa di grave.- “È arrivato amore, è arrivato fin qua...” Dalla mia parte il gelo, un brivido infinito corre lungo tutta la schiena e si punta come una lama sottile nella testa.- “Noooo, sei positivo?” Il cuore in tumulto, la testa che scoppia, quel contorcimento di budella che ti lascia senza fiato. Il pensiero corre subito ai suoi polmoni, polmoni che da quasi 30 anni inspirano fumo incuranti del rischio che corrono perché la vita fino a qualche anno fa per lui non aveva importanza, che respirano solo l’aria stantia e umida della cella, un’aria condivisa con persone che non ha scelto o respirata e rirespirata nello spazio dell’isolamento. - “No, non io...” Domando subito del suo compagno di stanza, poi di coloro che conosco attraverso i suoiracconti. - “No amore, è arrivato al piano, ma nell’altro corridoio. Sono positivi in 14. Li hanno portati via tutti. Entrano ed escono tutti bardati, nelle tute bianche, è terribile...”. Immagini alle quali siamo ormai abituati, bombardati dai servizi dei media, dalle foto dei quotidiani e dei rotocalchi. Immagini che ora si materializzano accanto a lui. Vedo un volto sgomento, uno sguardo turbato, un corpo ripiegato sulla paura. Anche se il virus non è entrato nella sua stanza io non sono per niente tranquilla. La commistione per chi vive in carcere è un dato di fatto. Anche se si è di due sezioni differenti, di due regimi differenti le guardie girano su tutto il piano. I lavoranti passano di cella in cella, di corridoio in corridoi. Gli spesini smistano la spesa insieme ai detenuti di corridoi diversi dal loro e poi la distribuiscono a loro compagni di sezione. E poi gli spazi condivisi. La stanza delle telefonate e delle videochiamate. E poi le mascherine che latitano, molti non la indossano o non la indossano correttamente, o non la cambiano come raccomandato. Gli igienizzanti sono inesistenti, si arrangiano con i detersivi che possono comprare nella spesa. La paura ormai si è presa tutti i miei pensieri. Anche se lui cerca di tranquillizzarmi io non riesco a smettere di tremare. Ho perso la lucidità e ho perso l’opportunità di vivere e condividere 15 minuti di leggerezza con la persona che amo. Sento il baratro sempre più vicino e come ogni volta il senso di impotenza mi svuota.Se tarda a telefonare o se la chiamata non arriva vivo nell’ansia e nel terrore che non abbia potuto raggiungere il telefono perché è successo qualcosa, perché l’hanno isolato, perché sta male. Da ieri la preoccupazione si è amplificata insieme al malessere e all’incertezza del futuro.