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Cerciello
«Ma perché dileggiare la condotta delle vittime e metterle sul banco degli imputati come reiteratamente è stato fatto in questo processo, esercitando il diritto di difesa al limite del consentito e della decenza? Perché tutte quelle insinuazioni volte a screditare l'operato dei carabinieri ipotizzando finanche dei reati? Si tratta di una ricostruzione insostenibile, fuori da ogni logica, smentita dalla descrizione che plurime fonti dichiarative hanno fornito della vittima e del suo operato»: sono parole pesantissime, gravissime, quelle rivolte alla difesa di Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth nelle 346 pagine con cui la prima Corte di Assise di Roma ha motivato la sentenza dello scorso 5 maggio che ha condannato all'ergastolo con due mesi di isolamento diurno i due giovani americani, accusati dell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Gli avvocati Renato Borzone e Roberto Capra, difensori di Finnegan Lee Elder, non sono rimasti giustamente in silenzio: « Leggere nelle motivazioni che la difesa ha “dileggiato la condotta delle vittime” più che un insulto alle persone che cercano di far emergere la verità, appare come una necessità dei giudici per poter difendere, a prescindere, alcune testimonianze davvero poco credibili solo perché fatte da rappresentanti dell’Arma». Non a caso la condotta dell'Arma subito dopo l'omicidio e nei giorni successivi non è stata affatto lineare, tanto è vero che si è parlato di Notte degli Inganni e, come ricordano, i legali alcuni carabinieri sono ancora sotto indagine per quella vicenda. Come scordare l'indegno bendaggio di Natale Hjorth all'interno della caserma dei carabinieri? Come non dimenticare le ritrattazioni di Varriale? Quindi ora mettere in discussione la ricostruzione dell'unico testimone è una offesa alle vittime? Praticamente la difesa avrebbe dovuto accettare la versione ondivaga dell'Arma in silenzio? In questo Paese è possibile ancora esercitare il diritto di difesa? «Ci troviamo di fronte ad una sentenza non solo ingiusta, ma anche sbagliata nel merito – continuano Borzone e Capra - La lettura delle motivazioni, mostra la precisa volontà di non voler vedere la verità processuale. Con che coraggio i giudici affermano che non sono emerse negligenze da parte delle forze dell’ordine quando diversi carabinieri sono ancora oggi sotto indagine per questa vicenda? Ci sono dati scientifici che dimostrano che tutte le ferite sono laterali al corpo e compatibili solo con una difesa da terra, come ha sempre dichiarato l’imputato. Ci sono i video delle telecamere che smentiscono platealmente il principale testimone dell’accusa. È chiaro che né i tempi né la logistica hanno permesso ai due carabinieri in borghese di identificarsi mostrando il tesserino ai due giovani americani. Questo non vuol negare la tragicità dei fatti, ma cambia completamente la situazione per i due ragazzi che hanno pensato di trovarsi di fronte due malviventi e non rappresentanti delle forze dell’ordine». «Andremo avanti con l’appello – sottolinea l’avvocato Capra – perché la ricostruzione che leggiamo nella sentenza è errata e dobbiamo dare ai due ragazzi imputati una valutazione equilibrata dei fatti e delle prove che arrivi ad un giudizio che fotografi realmente come sono andate le cose».«La difesa – conclude l’avvocato Borzone - proseguirà alla ricerca di un vero processo e di un giudice non condizionato dalla divisa dei testimoni per stabilire una volta per tutte la verità dei fatti». Anche gli avvocati di Natale Hjorth, Francesco Petrelli e Fabio Alonzi, hanno stigmatizzato quel passaggio della sentenza: «Leggere nelle motivazioni che si sarebbero formulate "insinuazioni volte a screditare l'operato dei carabinieri ipotizzando finanche reati" lascia piuttosto interdetti se solo si considera che i comportamenti censurati emergono con evidenza nella loro anomalia dagli atti del processo e che è stata la Procura della Repubblica, e non certo la difesa, a "mettere sul banco degli imputati" i testimoni dei fatti, rilevando la illiceità delle relative condotte. E sorprende ed offende ancor di più leggere in sentenza che "il diritto di difesa" sarebbe stato "esercitato al limite della decenza" senza indicare una sola espressione critica formulata da questi difensori che potesse integrare un "dileggio" della "condotta delle vittime"». I due legali concludono: «Nel nostro ordinamento resta esclusa ogni forma di prova "privilegiata" e la falsificazione della prova d'accusa è non solo doverosa per il difensore ma funzionale all'accertamento della verità nel contraddittorio delle parti. Il contrastare tale visione avalla l'idea di un processo inquisitorio e di stampo autoritario. Occorre ricordare che uno Stato di diritto è quello capace innanzitutto di "processare" se stesso».