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La petizione è partita da un avvocato di Catania, Gofferdo D’Antona. Ha coinvolto alcuni colleghi di Agrigento e, attraverso facebook, ne ha raggiunti anche in fori lontani dalla Sicilia. L’oggetto è dichiarato in modo esplicito: “Riduzione drastica e immediata dei costi della Cassa forense”. Si contestano anche le indennità di amministratori e sindaci dell’ente di previdenza dell’avvocatura. Al presidente Nunzio Luciano chiediamo di intervenire sul punto.
La contestazione di questo gruppo di avvocati è assoluta.
Il motto di Einaudi, conoscere per deliberare, vale sempre ed è risolutivo anche in questo caso. Non metto in discussione la buonafede di questi colleghi, spesso giovani e alle prese con difficoltà oggettive, ma devono conoscere meglio l’attività che svolge la Cassa.
Cosa, in particolare?
Premetto che a Catania, insieme con i vertici del Consiglio dell’Ordine e il delegato della Cassa, abbiamo organizzato un incontro molto partecipato, e che alla fine i rappresentanti delle associazioni forensi hanno compreso l’insostenibilità di una campagna del genere. Aggiungo che le indennità e i gettoni di presenza per amministratori e delegati erano fermi dal 2000, e che negli enti pubblici e nelle altre casse gli amministratori continuano a percepire emolumenti di gran lunga superiori. Noi in ogni caso rispetto al 2000 abbiamo introdotto solo l’adeguamento all’indice Istat.
Quanti avvocati conoscono questi
dettagli?
Sono convinto che la Cassa debba fare comunicazione su questi temi. Si deve innanzitutto parlare in modo diffuso di come si gestisce un patrimonio da 10 miliardi di euro. E del fatto che se provassimo ad affidare l’amministrazione a manager esterni ci costerebbe infinitamente di più, proprio per il grado di responsabilità che risorse simili comportano. Oltretutto con un’amministrazione di tipo manageriale molti degli scopi perseguiti dalla Cassa rischierebbero di essere trascurati.
A cosa si riferisce?
Alla possibilità di accedere al microcredito, ai finanziamenti erogati grazie a una nostra specifica commissione attraverso i fondi europei, ora disponibili in 18 regioni su 20. Mi riferisco ancora alla banca dati giuridica gratuita, a un’assistenza che eroga contributi per 64 milioni di euro. Con i bandi siamo riusciti ad assicurare aiuti a 15mila avvocati: per la famiglia, l’assistenza e la salute. Diamo contributi per l’acquisto di pc, per gli asili nido, per l’istruzione dei figli quando arrivano alle scuole medie.
Nella petizione si lamenta il basso importo della pensione minima, 400 euro, a fronte del contribuito minimo di 3.800 euro.
Il contributo soggettivo minimo è di 2.800 euro, a cui si aggiunge il contributo integrativo pagato dai clienti, che costa molto di più agli avvocati con un reddito più elevato. La pensione minima sarà di 11.200 euro annui, molto più di quanto si versa. Se vogliamo semplificare, chi paga sempre il minimo dà 85 e otterrà 100, chi invece ha redditi alti paga 113 per ottenere 100. Una parte dell’assegno, per chi guadagna meno, è coperta dai colleghi con un’attività maggiore.
Cosa succedeva con il regime precedente al 2012, che consentiva di versare all’Inps?
Molto semplicemente c’era una contribuzione al 30% del reddito anziché al 14%. Con un reddito basso, poniamo di 20.000 euro l’anno, vuol dire contributi per 6.000 euro, più del doppio di quanto chiede la Cassa. L’alternativa non credo possa essere privarsi del tutto di un sistema pensionistico. E la tutela per i giovani avvocati è in quei primi 8 anni in cui sono previste specifiche agevolazioni. Il nostro è un sistema solidaristico e va difeso.