«La cosiddetta cultura della giurisdizione è un tavolo a tre gambe, se la intendiamo in senso allargato e proprio. Ed è proprio per questo motivo che credo che nei Consigli giudiziari sia necessario enfatizzare ancora di più la presenza dell’avvocatura, anche per quanto riguarda i giudizi sui magistrati». A dirlo è
Carlo Nordio, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia, audito in Commissione Giustizia alla Camera nell'ambito dell'esame dei progetti di legge di riforma dell’ordinamento giudiziario. Un intervento lucido, favorevole all’elezione tramite sorteggio dei componenti del Csm e alla diffusione di una cultura della giurisdizione che non sia appannaggio di pochi, ma di tutte le componenti del pianeta Giustizia. Perché è questa, seconda l’ex magistrato, l’unica via per evitare le distorsioni vissute con il caso Palamara, punta di un iceberg finora ignorato.
Enfatizzare la presenza dell’avvocatura
Allargare le competenze dell’avvocatura, dunque, potrebbe aiutare a correggere le storture. A partire, dunque, dai Consigli giudiziari, dove il ruolo degli avvocati non deve essere quello di semplici comparse. «Quale poi debba essere il diritto di voto è un problema più complesso, anche perché i consigli giudiziari non hanno potere decisionale, spetta al Csm, dove non c’è alcuno scandalo se i voti ai magistrati li danno anche gli avvocati. Ma in linea generale, sono propenso ad aumentare, enfatizzare, a rendere più intenso il ruolo dell’avvocatura anche per quanto riguarda i giudizi al magistrato». E il giudizio sul magistrato non deve essere omogeneo per i pm e i giudici, i cui ruoli non possono in alcun modo essere sovrapposti. «In Italia il pm è il capo della polizia giudiziaria. Dirige le indagini e tra l’altro nel nome dell’obbligatorietà dell’azione penale, che magari purtroppo qualche volta si inventa lui, perché non è fondata su una notizia criminis qualificata, ha poteri immensi - ha evidenziato -. Quindi la valutazione del magistrato non può essere la stessa. Le caratteristiche di un buon pm non sono quelle di un buon giudice e quelle di un buon giudice non sono quelle di un amministratore». Ma c’è di più: secondo Nordio è necessario allargare le competenze dell’avvocatura per quella che è la gestione dell’ordinamento giudiziario e la gestione della giurisdizione. «Molti miei colleghi usano questa parola, cultura della giurisdizione, quando si oppongono alla divisione delle carriere - ha evidenziato -. Faccio presente che la giurisdizione o si intende in senso stretto, come
ius dicere, e quindi è limitata al giudice, oppure si intende in senso più largo come dialettica tra accusa, difesa e giudicante e allora è un tavolo a tre gambe e gli avvocati hanno e devono avere la stessa dignità dell’altra parte, quella accusatrice».
Sì al sorteggio
Il tema caldo della riforma riguarda, però, l’elezione dei componenti del Csm. Argomento sul quale le posizioni sono diametralmente opposte: da un lato c’è chi invoca il sorteggio, per evitare ogni forma di condizionamento da parte delle correnti, dall’altro chi vuole evitare la compressione del diritto all’elettorato attivo e passivo. Nordio opta per la prima opzione, pur riconoscendo le difficoltà legate alla rigidità della Costituzione. «Sono oltre 20 anni che sostengo che l’unico modo per evitare gli scandali che sono emersi in questi mesi è quello del sorteggio dei membri del Csm, proprio per spezzare il vincolo tra elettori ed eletti - ha sottolineato -. Però è vero che la Costituzione anche qui è molto rigida. L’unico modo è quello di unire i due criteri dell’elezione e del sorteggio, in modo da poter non confliggere con la Costituzione e allo stesso tempo allentare, se non spezzare, questo vincolo».
I manager nei tribunali
Per dirigere un tribunale non è sufficiente essere ottimi giuristi. Ed è per questo motivo che sarebbe necessaria la presenza di un manager, così come suggerito, tra gli altri, anche dal Consiglio nazionale forense. «In qualsiasi azienda il personale viene assunto dall’imprenditore e il dirigente di una sezione è responsabile del personale che ha assunto. Nella magistratura non è così - ha spiegato Nordio -, il magistrato si trova ad operare con quelle poche risorse, e spesso anche qualitativamente non del tutto omogenee, che gli vengono conferite dall'esterno. Quindi molto spesso si trova a dover rispondere di situazioni di responsabilità che non sono addebitabili a lui, sia perché il suo ufficio è sotto organico, sia perché gli è stato dato del personale di cui magari non ha fiducia e magari ha ragione a non averne». Serve, dunque, la figura di un manager che diriga i tribunali e che esso stesso sia sottoposto a valutazione, sulla base di criteri distinti da quelli utilizzati per gli altri magistrati. «Nella valutazione manageriale del magistrato, quando deve aspirare a posizioni apicali o dirigenziali, non si tiene conto del fatto che è bifronte: da un lato è un giurista e dall’altro dovrebbe essere un manager. Ma le due categorie non sempre coincidono: un eccellente giurista che scrive eccellenti sentenze, che ha un’ottima cultura giuridica può non rivelarsi un ottimo manager», ha spiegato.
Magistratura e politica
Un’altra criticità evidenziata da Nordio è quella relativa all’ineleggibilità dei magistrati in politica nei territori dove abbiano svolto servizio. Una previsione giusta, secondo l’ex aggiunto, ma sbagliata laddove tale limite non vale per i magistrati antimafia che hanno una competenza nazionale. Una contraddizione, secondo Nordio, «perché in quei delicatissimi uffici che hanno competenza investigativa nazionale» si viene a conoscenza di una mole enorme di informazioni, «e la conoscenza è potere», ha sentenziato.
Una riforma «inutile»
Ma il giudizio dell’ex pm sulle proposte di riforma sul tavolo è tranchant: sono destinate al fallimento. E non perché scritte male o giuridicamente insostenibili, ma per una naturale incompatibilità del sistema penale italiano, quello disegnato dal codice Vassalli, con la Costituzione, la cui impostazione è tuttora improntata sul codice Rocco. «La nostra Costituzione, benché antifascista e del ‘48, è stata costruita avendo in mente il sistema processuale vigente all’epoca, che era il sistema inquisitorio del Codice Rocco e quindi reca con sé tutte le caratteristiche di questa forma di codice, compresa l’unità delle carriere, l’unità della giurisdizione tra il giudice del fatto e il giudice del diritto, l’obbligatorietà dell’azione penale», ha spiegato. Il codice Vassalli è infatti mutuato da un impianto accusatorio completamente diverso da quello italiano e che comprende la discrezionalità dell’azione penale, la differenza tra il giudice del fatto, che emette il verdetto, e il giudice del diritto, che emette la
sentence, nonché la ritrattabilità dell’azione penale. Ma non solo: nel sistema “originale” il pubblico ministero è elettivo, come negli Stati Uniti, oppure indipendente, come in Gran Bretagna, ma non è il capo della polizia giudiziaria. «Questa incompatibilità si è rivelata in concreto quando la Corte costituzionale ha iniziato a demolire il codice di procedura penale - ha evidenziato Nordio - e lo ha demolito anche in modo abbastanza consistente. Tutti gli sforzi che si fanno e si continuano a fare nell’ambito giudiziario e anche nella stessa composizione del Csm sono immensi, e io ne do atto, ma sono inutili o almeno in gran parte inutili, perché la nostra Costituzione e il nostro sistema giudiziario non sono compatibili tra di loro. Quindi o si cambia l’una o si cambia l’altro».