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La mattina del 14 maggio 2016 l’ingener Marco Pucci si consegnò alle forze dell’ordine. La sera prima la Cassazione aveva confermato la sua condanna a 6 anni per il rogo Thyssen di Torino. Quel giorno Pucci lasciò anche lasciato l’incarico di direttore centrale dell’Ilva. La sua vita da uomo libero, almeno per i successivi sei anni, finiva lì. La notte di nove anni prima, era il 5 dicembre del 2007, era finita la vita dei sette operai Thyssen. Oggi, a distanza di quasi un anno, Pucci chiede la grazia al presidente Sergio Mattarella. Ma i familiari delle vittime rispondono duri: «Ce li hanno ammazzati, non meritano nessun perdono. Semmai lo chiederanno a Dio. Per ora devono stare in galera».
La mattina del 14 maggio 2016 l’ingener Marco Pucci si consegnò alle forze dell’ordine. La sera prima la Cassazione aveva confermato la sua condanna a 6 anni e 10 mesi per il rogo Thyssenkrupp di Torino. Quel giorno Pucci lasciò anche l’incarico di direttore centrale dell’Ilva. La sua vita da uomo libero, almeno per i successivi sei anni, finiva lì.
La notte di nove anni prima, era il 5 dicembre del 2007, era finita la vita dei sette operai Thyssen. Sulla linea di produzione numero 5 un getto di olio bollente investì Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Rocco Marzo e Giuseppe Demasi. Il processo finì con le condanne dell’Ad della Thyssen Harald Espenhahn ( a 9 anni e 8 mesi), dei dirigenti Gerald Priegnitz ( 6 anni e 10 mesi), Daniele Moroni ( 7 anni e 6 mesi) e Marco Pucci ( 6 anni e 10 mesi). E oggi, a distanza di quasi un anno, Pucci chiede la grazia al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
In questi anni l’ingegner Pucci ha sempre reclamato la propria innocenza e in una lunga lettera pubblicata da “Fino a prova contraria” scriveva: «Non ho ucciso nessuno: perché ero componente del CdA della Thyssenkrupp Acciai Speciali Terni con deleghe esclusivamente al commerciale ed al marketing. Non ho ucciso nessuno perché le deleghe e responsabilità in materia di produzione e sicurezza sul lavoro erano attribuite all’Amministratore Delegato della società Harald Espenhahn». E l’igegner Pucci conclude: «Non ho ucciso nessuno perché gli stessi parenti delle povere sette vittime, del tragico incendio della notte del 6 dicembre 2007, quando mi recai da loro per portabre il mio cordoglio e quello dell’intera Thyssenkrupp, mi dissero: ingegnere lei non c’entra niente». Ma un familiare di una delle vittime risponde con “durezza” alla richiesta di grazia dell’ingegner Pucci: «Noi non concediamo la grazia a nessuno. E nemmeno lo deve fare il presidente Mattarella», ha detto Graziella Rodino, madre di Rosario, uno dei sette operai morti il 6 dicembre 2007 alla Thyssenkrupp di Torino. «Ce li hanno ammazzati, non meritano nessun perdono. Semmai lo chiederanno a Dio. Per ora devono stare in galera», ha concluso.