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riforma cartabia ministro Nordio
In Italia l’obbligatorietà dell’azione penale «si è convertita in un intollerabile arbitrio»: così tuonò il ministro Nordio illustrando qualche giorno fa le sue linee programmatiche in Commissione Giustizia del Senato.
Per Mario Palazzi, magistrato alla Dda di Roma, esponente di AreaDg, «non deve sorprendere che, pur essendo un pm, per quella cultura che intendiamo preservare, le direttrici evocate nell’intervento parlamentare del ministro mi preoccupino tanto sul tema delle garanzie, quanto su quella dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge». Per Palazzi, «ipotizzare all’un tempo separazione delle carriere, discrezionalità dell’azione penale e – punto non meno importante – “sganciamento” della Polizia giudiziaria dal pm preannuncia un quadro finale con tinte assai fosche».
Come ha scritto anche il professore Francesco Palazzo su Sistema Penale, «congiungere in un unitario progetto la dilatazione ulteriore della discrezionalità e la separazione delle carriere lascia fatalmente intravedere all’orizzonte un pubblico ministero che, dovendo ineludibilmente rispondere della accresciuta discrezionalità, può diventare braccio esecutivo delle forze politiche di volta in volta ( non si dimentichi che le maggioranze cambiano!) dominanti». Per quanto riguarda l’obbligatorietà, Palazzi ci spiega: «A Roma il Tribunale monocratico non è in grado di assorbire il flusso delle citazioni a giudizio della Procura, perché c’è un problema di risorse. Io posso anche terminare le indagini in sei mesi e chiedere la fissazione dell’udienza; ma se poi questa viene fissata, per esempio, dopo tre anni il destino inesorabile sarà la prescrizione».
Chiediamo al pm come lui gestisce quel flusso enorme: «Inevitabilmente applico una priorità temporale nella trattazione sulla base della gravità dei fatti in linea con i principi stabiliti da questo ufficio giudiziario. Oggi posso dire che tratto primo un fascicolo e poi un altro, ma sono obbligato a trattarli tutti». Ma poi, si chiede il magistrato, «se mi si impone la discrezionalità, come faccio a decidere quale fascicolo trattare e quale no? Paradossalmente avrei un maggiore potere che io non voglio. Qual è l’alternativa? Ognuno fa per sé? Oppure a decidere chi perseguire dovrà essere il ministro di turno? Già oggi i criteri di priorità sono una realtà e la riforma Cartabia ha attribuito un ruolo non secondario al Parlamento nell’approvazione dei criteri generali che definiranno la cornice entro cui i singoli uffici inquirenti individueranno altri criteri, fisiologicamente di specificazione, di maggior dettaglio».
«Mi chiedo infine – ci dice Palazzi - di questo sì si sente la necessità, che fine ha fatto il progetto di depenalizzazione che pure aveva visto Anm ed avvocatura associata concorde, pronta ad offrire – quota parte – il proprio contributo?» In definitiva «a me pare che l’esordio della nuova legislatura sia stato invece di segno opposto, ancora una volta implementando il già sovraccarico sistema con nuove fattispecie di reato, l’eterno ricorso al diritto penale simbolico di cui il sistema non sentiva la necessità».
Di diversa opinione Marco Campora, appena rieletto presidente della Camera Penale di Napoli: «Il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale è oggi una evidente ipocrisia. Di fronte alla oggettiva impossibilità di perseguire tutti i reati, i pm applicano propri e discrezionali criteri per dare priorità a determinati processi anziché ad altri. In questo modo vi è il rischio concreto di determinare diseguaglianze di disciplina tra i cittadini. Sappiamo che talune procure italiane, tra cui quella di Napoli, hanno emanato linee guida per evitare di portare a processo vicende di scarso rilievo ed impatto sociale e che potremmo definire “bagattellari”».
«Le nobili intenzioni che muovono i suoi ideatori/ realizzatori, non possono oscurare però – prosegue il penalista - un tema enorme che, se non affrontato apertamente, rischia di far naufragare ogni iniziativa finalizzata alla riduzione effettiva del contenzioso penale. Decidere cosa è meritevole di andare a processo – ed ancora prima decidere cosa è o non è bagattellare – non è una scelta tecnica ma una scelta squisitamente politica, essendo innanzitutto una scelta di valori. Questo è il presupposto di ogni ragionamento intellettualmente onesto sul punto».
Per Campora esistono due pericoli: «Che la magistratura assuma un ruolo di supplenza a fronte dell’inerzia e della pavidità della politica ( con tutto ciò che ne consegue in punto di squilibrio dei poteri)» e «la fine di un diritto penale unitario, valido su tutto il territorio nazionale e la nascita di un diritto penale di tipo localistico in cui ciascun territorio, sulla base delle proprie specificità, decide di fatto cosa è reato e cosa non lo è». La soluzione, ovviamente, per Campora «non è un “liberi tutti”. Dovrebbero essere il Governo, la politica a determinare i criteri».