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“La crisi dell’avvocatura e le future opportunità” ( 104 pagine, 13,00 euro, Historica Edizioni) è un interessante saggio di Valerio Toninelli. Classe 1938, avvocato specializzato nel Diritto delle assicurazioni, l’autore ha sempre esercitato la professione presso il foro di Lodi. Procuratore legale dal 1963, Toninelli in questi anni ha visto, come molti colleghi della sua generazione, cambiare radicalmente il volto dell’avvocatura.
Remo Danovi, presidente del Consiglio dell’Ordine di Milano, nella prefazione ben descrive il contenuto del libro: «Una sintesi delle riflessioni che gli avvocati si pongono, da quando è iniziata la crisi economica, sul futuro della professione». Riflessioni che, come vedremo, fanno emergere un disagio profondo.
Toninelli svolge una indagine sul «microcosmo» dei legali che hanno uno studio collocato in una provincia del Nord Italia. Tralasciando la crisi del 2008 che ha cambiato il mondo, l’osservazione di Toninelli è, in primis, legata a una constatazione numerica: attualmente in Italia ci sono 240mila avvocati e 9000 magistrati; in pochi anni il numero dei legali è quintuplicato: erano 50mila nel 1990; e il rapporto fra cittadini e avvocati è il più alto in Europa. A fronte di un ristretto numero di avvocati con condizioni economiche medio alte, la maggior parte vive situazioni difficili. È sufficiente osservare l’andamento del reddito medio: calato, nel 2014, a 37.500 euro, mentre nel 2007, prima che iniziasse la crisi, era attestato a 57.500 euro. Il lavoro è, quindi, poco e mal pagato. Sul punto, Toninelli concentra l’attenzione su banche e assicurazioni che fanno a gara per azzerare i compensi dei legali. Poi analizza la «bulimia legislativa», questa legislazione sovrabbondante, confusa e contraddittoria che obbliga ad aggiornamenti impossibili gli avvocati. Se per Danovi il rimedio è privilegiare l’attività stragiudiziale ( «il contenzioso è proprio dei paesi poveri» ), per Toninelli è fondamentale aumentare le piante organiche della magistratura per rispondere alla pressante richiesta di giustizia.
Sia Toninelli che Danovi concordano invece nella specializzazione forense, nel coordinarsi con altre professioni e nel ripristino di compensi adeguati. Ma andiamo con ordine. L’analisi dei rapporto con le grandi aziende, in particolare banche e assicurazioni, merita in questa sede un ap- profondimento. Perché ben rappresenta il mutamento del rapporto fra “cliente” e avvocato. Un tempo, infatti, i migliori clienti erano proprio le banche e le assicurazioni. Sia per i compensi adeguati sia per il prestigio che derivava da queste difese. Dopo le modifiche introdotte nel “decreto Bersani” del 2006, in particolare riguardo i minimi tariffari, lo scenario è mutato in modo ra- dicale. Attualmente, in queste difese, il pagamento avviene solo a conclusione dell’incarico, cioè quando viene emessa la sentenza o si perfeziona la transazione. Non esistono acconti. E il compenso è quasi sempre di tipo “forfettario”, prescinde dalla durata della causa e dalla sua conclusione ed è comprensivo di tutte le spese sostenute. Il legale, al termine, non emette una fattura ma una richiesta di compenso. Che il cliente assicurazione/ banca provvede poi a tagliare ulteriormente. Tale sistema genera dei cottimisti della difesa. A discapito della qualità della professione, come Toninelli descrive con amarezza. Un capitolo riguarda il penale. Le difese d’ufficio sono «un apprendistato indispensabile per un giovane professionista che intenda svolgere le funzioni di penalista». Nelle difese di fiducia, invece, è rara la clientela disposta a pagare bene per un professionista preparato ed affermato. La maggior non intende pagare, affidandosi al primo che capita.
La mancanza di clienti, la crisi, l’aumento del numero degli avvocati hanno determinato un ridimensionamento degli studi legali, con la necessità di prevedere servizi in comune. Non di rado si assiste ad avvocati che hanno lo studio presso la propria abitazione. Inoltre, oggi, gli avvocati svolgono personalmente compiti che un tempo erano delegati alle segretarie. Il duro confronto con la realtà arriva verso i 35- 40 anni. Quando l’avvocato capisce che il lavoro è ridotto ma è tardi per poter svolgere altre attività.
Come si accennava prima, Toninelli, in questo quadro a tinte fosche, fornisce però delle possibili soluzioni. In particolare, oltre alla difesa, l’assistenza alla clientela. Poi la specializzazione e la necessaria collaborazione fra professionisti. Anche le pubbliche relazioni possono essere d’aiuto per aumentare il numero dei clienti. Ed infine, il ripristino dell’equo compenso. Punto fondamentale per ridare dignità alla professione.