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nordio governo meloni
La giustizia? Sì, certo: è una priorità, sul piano ideale. Ma se si tratta del calendario, la storia cambia. «Nei primi cento giorni ci dovremo occupare di legge di Bilancio, bollette, economia, di seguire gli sviluppi della guerra e della crisi energetica. Non è ipotizzabile il lancio di un pacchetto di riforme sulla giustizia come atto d’esordio di un governo Meloni». Ecco: sono considerazioni che un’autorevole fonte di maggioranza preferisce esprimere in forma riservata, ma condensano idee in circolazione da giorni. In altre parole: non si può aprire un fronte sulla giustizia subito.
Diventerebbe incandescente. E porterebbe via energie all’azione di governo. E quindi, tutto questo vuol dire retromarcia sulla separazione delle carriere, sul doppio Csm e sul sorteggio per eleggerne i componenti togati? Significa congelare l’auspicata (da tutto il centrodestra) legge sulla inappellabilità delle sentenze di assoluzione? Semplicemente, non ci sarà una corsa a occuparsi di temi così impegnativi. E il punto successivo è: in che modo, questa necessità di «calibrare le tempistiche», come dice ancora la fonte interpellata dal Dubbio, potrà influire sulla scelta per il ministero della Giustizia?
E qui si entra in un campo inesplorabile, o quasi. Perché persino gli interlocutori che pretendono l’anonimato preferiscono non sbilanciarsi troppo. Argomenta un altro parlamentare eletto al Senato con la maggioranza FdI-Lega-FI: «Voglio proprio vederle, le riforme della giustizia. Finché non ci saranno, non ci scommetterei. E comunque Giorgia Meloni non ha la visione che ha sempre avuto Silvio Berlusconi, in questo campo. La considera un nodo importante ma non una materia di scontro. E a chi come lei potrebbe avere la responsabilità della premiership, non farebbe certo comodo litigare un giorno sì e l’altro pure con il presidente dell’Anm».
Altra considerazione suggerita sempre dietro richiesta di anonimato: «Non c’è la volontà di rompere con la magistratura. Non in Fratelli d’Italia. L’obiettivo di qualsiasi riforma è migliorare l’efficienza della giustizia. Assicurare ai cittadini decisioni credibili. Ma qualunque soluzione, anche la separazione delle carriere in cui certamente crediamo, non può esser letta come un’arma da sferrare contro i magistrati. Nessuna volontà di rompere, né di approfittare di una loro debolezza. È una prospettiva che non interessa, in questo momento». Si tratta di riflessioni in fondo di buonsenso. Pensare che con la guerra e le provocazioni del Cremlino che inquietano le cancellerie dell’intero occidente, con la crisi energetica che ha già pesantemente inciso sulla vita quotidiana degli italiani, il Parlamento e il governo possano disperdere forze in una contesa con le toghe, è ipotesi del tutto irreale. E si ripresenta l’interrogativo: qual è il guardasigilli più adatto, in una fase del genere? Può esserlo Carlo Nordio? O la sua storia di magistrato controcorrente può diventare un ostacolo? Possibile che la stessa presidente del Consiglio in pectore possa decidere di orientarsi su una figura diversa, per evitare che si crei un clima teso, con la magistratura, ben prima del necessario? A quest’ultimo quesito, gli interlocutori rispondono in modo vago, preferiscono glissare. Il più loquace arriva a osservare: «Nordio è una figura affidabile. Lo sarebbe anche Giulia Bongiorno». Vero. Ma nei giorni scorsi, altre voci raccolte dal Dubbio hanno fatto notare come sia l’ex procuratore aggiunto di Venezia, sia l’avvocata rieletta con la Lega abbiano profili impegnativi, seppur per ragioni diverse. Nordio è considerato uno storico “contraltare” dell’Anm. Bongiorno ha a propria volta posizioni molto “radicali” sulle riforme della giustizia, lo ha dimostrato anche nella dialettica con Marta Cartabia. Inoltre, l’ex ministra della Pubblica amministrazione potrebbe trovare complicato coniugare un eventuale incarico alla Giustizia con i processi importanti che segue come avvocato penalista, inclusi quelli che vedono sotto accusa Matteo Salvini.
In un rebus di cui per ora non si intravedono soluzioni immediate, vanno considerati altri due aspetti. Primo, che riforme di rango costituzionale come separazione delle carriere e sorteggio per il Csm potrebbero essere inserite nel più ampio progetto che ha come cardine il semipresidenzialismo. Inoltre, il ministero della Giustizia, come fa notare un altro deputato appena rieletto col centrodestra, è tra quelli sui quali il Quirinale si riserva una valutazione più incisiva. E questo è un altro motivo che giustifica la prudenza sulla partita di via Arenula. Tra le più importanti ma anche tra quelle dall’esito meno facilmente prevedibile.