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Riportiamo di seguito la relazione integrale pronunciata all’inaugurazione dell’anno giudiziario del Cnf dalla presidente della massima istituzione forense Maria Masi. Un sintetico bilancio delle attività anche, e soprattutto, con riferimento all’attività giurisdizionale e a quelle relative alle fondazioni, alle commissioni e ai progetti in corso, nonché il contenuto di atti, documenti protocolli, proposte, emendamenti, frutto di iniziative, interlocuzione e collaborazione, prevalentemente con il Ministero della Giustizia, sarà contestualmente pubblicato, condiviso e messo a Vostra disposizione. Un breve cenno all’attività giurisdizionale svolta però ritengo di doverlo fare anche in questa occasione.
Il bilancio
Nel 2021 si sono tenute 33 sedute ordinarie e due straordinarie. Abbiamo trattato 368 ricorsi e depositato 270 sentenze. Anche nel 2020, nonostante le limitazioni e i grandi disagi dovuti all’emergenza sanitaria, abbiamo tenuto 23 sedute (tra ordinarie e straordinarie) trattato 226 ricorsi e depositato 251 sentenze. In media solo il 10 per cento viene impugnato in Cassazione e la percentuale di conferma è dell’82 per cento. Questo dato conforta circa la qualità delle pronunce rese dal Consiglio nazionale Forense e l’efficacia della giurisdizione speciale a noi riservata. Le celebrazioni inaugurali dell’anno giudiziario non potevano avviarsi a conclusione, senza evidenziare il contributo che anche l’Avvocatura ha dato, non in maniera contemplativa ma piuttosto dinamica, finalizzato a rappresentare nel modo più efficace possibile la consapevolezza del ruolo e della funzione, a servizio della Giurisdizione e dei cittadini e a tutela dei diritti e delle garanzie. Non è mai inutile o superfluo, e ancora di più in questo particolare momento storico, ricordare l’importanza che ha il corretto ed equilibrato funzionamento dei “vasi comunicanti tra magistratura e avvocatura”, la valorizzazione della necessaria connessione tra le loro diverse ma complementari funzioni, unico rimedio per superare e magari finalmente risolvere, l’attuale formidabile problema di educazione nell’ordinamento giudiziario. La crisi della Giustizia, di certo non provocata dall’emergenza sanitaria ma di fatto oggi da essa amplificata, è un problema che investe l’intera società e occorre il massimo impegno di tutti noi per affrontarlo e risolverlo senza pregiudizi e senza riserve. A chiedercelo è una società provata dall’emergenza sanitaria, affaticata dai problemi legati al lavoro, alla professione, alla precarietà dell’occupazione e quindi alla precarietà del reddito, delusa nelle aspettative di giustizia, confusa tra dubbi e certezze, impaurita da eventi che evidentemente non sempre e non bene si possono controllare. La demolizione progressiva e latente del tessuto istituzionale che è in atto insidia pericolosamente la democrazia. Come giuristi abbiamo il dovere di analizzare e contestualizzare tutte le generazioni e le degenerazioni della sua crisi e dei suoi valori. Far parte di una comunità, e la nostra comunità non fa eccezione, comporta e implica un percorso, finalizzato a maturare, ancor prima che scelte, una responsabile consapevolezza. La straordinarietà dei tempi che viviamo e spesso subiamo richiede, quindi, ora e subito, un grande sforzo che veda avvocati e magistrati, ferma l’autonomia e la specificità dei singoli ordinamenti, impegnati insieme, nella valorizzazione di una rinnovata Cultura ed Etica della Giurisdizione. Percorsi collaborativi e sinergici che preservino il tessuto formativo, garantista, valoriale e deontologico comune, ai fini del corretto, giusto, equo funzionamento dell’ordinamento giudiziario. Possono, anzi dovrebbero, agevolare e non ostacolare questo percorso anche gli interventi normativi in itinere, alcuni dei quali hanno un impatto molto significativo, non solo sull’esercizio della giurisdizione, ma anche sull’effettività del diritto di difesa. In tal senso, e con questo spirito, il CNF è intervenuto in questi mesi e in questi ultimi giorni, tanto e non solo nel dibattito politico, ma maggiormente come è giusto e corretto, nelle interlocuzioni con il Ministero delle Giustizia e nelle richieste di audizione e di ascolto nelle sedi appropriate. In queste occasioni, la nostra preoccupazione costante è stata quella di assicurare un sempre più ampio coinvolgimento delle rappresentanze dell’avvocatura, nelle scelte relative all’amministrazione della giustizia. Nell’ottica della cooperazione tra le due categorie abbiamo, pertanto, valutato con favore molte delle previsioni che nella proposta di riforma dell’ordinamento giudiziario, valorizzano il ruolo dell’avvocatura, in adesione al contributo che abbiamo inteso dare, anche in occasione di recenti incontri.
Riforma dell'ordinamento giudiziario
A tale proposito ringrazio la Ministra Cartabia, soprattutto per l’attenzione rivolta al tema del funzionamento dei Consigli giudiziari, con riferimento alla proposta del diritto al voto della componente laica e alle modifiche, in tema di accesso alle cariche elettive ed elezione e funzionamento del CSM. Non si condividono, a riguardo, le ragioni del dissenso, manifestato dalla componente associativa della magistratura e fondate su ipotetici conflitti d’interessi (il nostro sistema ordinamentale ne subisce di ben più gravi) che nella proposta governativa difficilmente si configurerebbero, tenuto conto della proposta del voto unitario e del preventivo parere reso dai consigli dell’ordine, a differenza del pregiudizio e delle riserve che invece nelle loro dichiarazioni sono facilmente ravvisabili. Tuttavia, sotto il profilo dell’organizzazione degli uffici, le scelte effettuate, sia pure migliorative rispetto al testo originario, appaiono ancora insufficienti. Nonostante l’esigenza sembra essere condivisa dal CSM, laddove, nell’introduzione al codice dell’organizzazione degli uffici giudiziari, si richiama la rivoluzione culturale in atto nella magistratura, pronta a rileggere i concetti di autonomia e indipendenza che rappresentano non solo una prerogativa della magistratura, garantita dalla Costituzione, ma anche l’espressione di una responsabilità sociale. “Non si può parlare più, infatti”, si legge, “di una moderna e avanzata concezione dell’organizzazione, senza un rapporto stabile di condivisione culturale oltre che operativa con l’avvocatura e tutti gli attori della giurisdizione: il personale amministrativo, la magistratura onoraria che è parte del percorso di cambiamento dell’intera magistratura e i soggetti che operano nella società e nel mondo economico”. Queste ultime considerazioni imporrebbero una ulteriore e più approfondita riflessione sulla magistratura onoraria, relegata da troppo tempo, in una sorta di limbo giuridico. L’alto numero dei magistrati onorari impiegati e la reiterata conferma degli incarichi, nonostante la dichiarata temporaneità degli stessi, a conferma del fatto che sono considerati, non solo utili quanto necessari all’organizzazione giudiziaria, impone l’adozione non più di “piccole misure tampone” ma di una soluzione definitiva e coerente con il sistema ordinamentale e anche, e soprattutto, rispettosa della dignità del lavoro reso, per scongiurare l’ipotesi di un altro caso particolare di “diritto illegittimo”. Vorrei sottolineare, anche in questa occasione, la necessità di un maggiore coinvolgimento del CNF nella stesura dei decreti attuativi delle riforme. I decreti, nell'ottica "riformista", necessitano sia del punto di vista tecnico sia di una prospettiva di impatto sociale per conseguire gli obiettivi che la riforma ha inteso e intende perseguire. Se il coinvolgimento dell’avvocatura nell’organizzazione della giustizia è stato ed è una nostra preoccupazione costante, la nostra esigenza primaria è stata ed è garantire l’effettività della difesa a garanzia della tutela dei diritti.
Revoca delle misure emergenziali
L’avvocatura ha sempre affermato e invocato l’equilibrato bilanciamento della celerità dei processi con la salvaguardia delle garanzie per le parti. Giusto processo e Giustizia accessibile. In tal senso, tutti i nostri interventi, le proposte emendative e le osservazioni ai progetti di riforma del processo civile, penale e tributario la cui attuazione continueremo a seguire ribadendo la necessità di maggiori sforzi per adeguare gli organici e implementare le risorse. Oggi però l’Avvocatura chiede con particolare urgenza che siano revocate o almeno ridimensionate le misure emergenziali, adottate in un contesto, fortunatamente molto diverso da quello attuale. Nel civile, contenere, eventualmente, la modalità della trattazione scritta solo nelle ipotesi già contemplate nel progetto di riforma, nel penale, superare il limite delle giornaliere trattazioni tabellari, rimodulare la calendarizzazione delle udienze e degli orari e soprattutto garantire il libero accesso alle cancellerie. Dal prossimo mese di aprile saremo liberi di accedere, volendo, ad ogni iniziativa ludica, culturale ed è giusto che anche la Giustizia si disancori da limitazioni e divieti di accesso. Del resto, grazie all’utilizzo di forme e strumenti di comunicazione e lavoro le attività che esigono presenza si sono comunque ridotte e ridimenzionate. Non è solo e tanto un problema di forma né un totem simbolico, ma una legittima esigenza funzionale al corretto e pieno esercizio della nostra funzione. Do atto che, nonostante il lungo periodo straordinariamente difficile, il Governo e le forze parlamentari si sono assunti l’impegno di superare il limite della natura emergenziale per intervenire su proposte normative che l’avvocatura sta seguendo con particolare attenzione e tensione, mi riferisco ad esempio alla proposta di modifica relativa all’equo compenso e sul punto confidiamo possano essere recepite e accolte le nostre proposte emendative, alla disciplina relativa alla crisi d’impresa, alla riorganizzazione della pubblica amministrazione, aperta anche ai professionisti e a breve speriamo siano approvati i nuovi parametri forensi. Il CNF ha lavorato molto sulla proposta di modifica degli stessi e bene, a giudicare dal parere favorevole espresso dal Consiglio di Stato, anche grazie alla fattiva collaborazione degli ordini e delle associazioni che non hanno fatto mancare il loro contributo, nonostante i tempi stretti di consultazione. Ritengo giusto segnalare che nella nostra proposta i valori indicati, calcolati in base ai parametri oggi vigenti, dovrebbero essere ricalcolati ed adeguati all’aumento dei beni e servizi che più hanno inciso sui costi di uno studio legale, a partire dal 2014 ad oggi.
Riforma del carcere: una nuova concezione della pena
Ci sono però altri interventi urgenti che riguardano l’avvocatura e che meritano altrettanto attenzione, anche se non sono immediatamente suscettibili di valutazione economica, almeno non nella misura ritenuta necessaria ai fini dell’attuazione del PNRR, e sono una seria proposta di riforma dell’accesso alla professione, la regolamentazione della monocommittenza e le modifiche al nostro processo disciplinare, troppe volte differito, nonostante la condivisione di una proposta di riforma. E poi ci sono gli interventi, non ulteriormente differibili, e che sono assolutamente coerenti con l’opportunità di impiegare parte degli investimenti economici offerti dal piano di ripresa, e mi riferisco alla necessaria riforma carceraria, a sostegno di una nuova e rinnovata concezione sia della detenzione che della pena (confidiamo, infatti, che si intervenga finalmente sul regime del carcere ostativo). L’alto numero dei suicidi, verificatisi nelle carceri, e la nota scarsa qualità delle condizioni medie di detenzione, non possono e non devono lasciare indifferenti. La dignità umana va salvaguardata sempre, anche e soprattutto all’interno del sistema penitenziario. D’altra parte, l’avvocatura non perde occasione per segnalare, evidenziarne le criticità non solo nell’esercizio del singolo mandato ma soprattutto nell’assolvimento del ruolo sociale. Anche per questo, il CNF ha ritenuto doveroso rinnovare il protocollo d’intesa con il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Così come non perde occasione per intervenire sul dibattito sempre acceso delle discriminazioni in tutte le sue forme e nelle declinazioni che esigono tutela. Su questi aspetti costante è la nostra interlocuzione con l’UNAR. Non si distrae e non si sottrae, l’avvocatura, nonostante i tempi incerti, quando è chiamata ad assolvere all’impegno costante e necessario, finalizzato alla tutela dei diritti umani a livello nazionale e oltre i confini, spesso in collaborazione con gli altri Ordini Forensi Europei. Ne è un esempio l’idea di promuovere una legislazione ispirata a una visione “ecocentrica”, il “Decalogo del Diritto all’Acqua” presentato lo scorso 22 marzo a Dubai, nell’ambito di Expo 2020, per una rinnovata cultura di diritti legati alla tutela dell’ambiente e delle risorse idriche, per il riconoscimento del diritto all’acqua come soggetto giuridico e come diritto essenziale, anche al fine di prevenire l’insorgere di conflitti.
Il conflitto in Ucraina
E a proposito di conflitti non si può ignorare in quest’occasione quanto sta accadendo in Ucraina e alle numerose vittime, a cui va rivolto un sentito e doveroso pensiero. Pensiero che si traduce in azione dell’avvocatura italiana quando, attraverso il prezioso contributo dei Consigli dell’Ordine ha dato prova di grande disponibilità e generosità, aderendo all’iniziativa promossa dal CNF d’intesa con il Consiglio degli Ordini Forensi Europei e promuovendo in autonomia sui singoli territori, di concerto e accordo con gli enti territoriali, iniziative a sostegno, protezione e cura dei tanti profughi, soprattutto bambini, che stanno arrivando in Italia. L’avvocatura è sempre presente e pronta ad affiancare chi ha bisogno di tutela, oltre il dato formale dell’incarico, oltre il dato non trascurabile dell’aspetto solidale. È presente nei centri di accoglienza, nei centri di ascolto, nei centri antiviolenza, a fianco di minori non accompagnati, a fianco di soggetti smarriti attraverso il munus delle amministrazioni di sostegno, a sostegno di una fragilità che diventa valore da custodire e proteggere. È presente e disponibile ad assumere gli incarichi con il patrocinio a spese dello Stato e quelli riferibili alla difesa d’ufficio, con la consapevolezza che, anche in questo caso, l’attività prestata va oltre il dato non trascurabile dell’aspetto economico, tenuto conto dei tempi, ingiustificatamente lunghi per la liquidazione, e degli importi, ingiustificatamente esigui, distanti anni luce dall’invocata e legittima equità dei compensi.
Un nuovo corso per la giustizia
Quest’anno ricorre un anniversario importante per la nostra comunità: gli ottant’anni del codice civile, quello che la dottrina comparatista è solita identificare con la categoria del fare, a differenza della categoria dell’avere, attribuita al codice del 1865, e a quella dell’essere, propria della nostra Costituzione, che di fatto ne evidenziò, appena pochi anni dopo, la parziale inadeguatezza. Inadeguatezza che avrebbe successivamente provocato il più alto numero di leggi speciali, integrando ancora oggi, quel fenomeno di decodificazione e delegificazione che se, da un alto contribuisce a rendere più flebile la certezza del diritto, dall’altro contribuisce ad opporre resistenza ai tentativi non sempre giustificabili, di indebolimento del nostro civil law. Oggi però vorrei prendere in prestito l’accezione del fare, il richiamo filosofico alla sua categoria, per inaugurare non solo l’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense ma anche il necessario nuovo corso dell’avvocatura. Non è un caso che si celebri in un bellissimo museo, certamente custode per tradizione di valori antichi, quali la cultura, ma in chiave moderna, quella che rende in maniera immediatamente percepibile la bellezza del cambiamento necessario. Il concetto di bellezza non può e non deve considerarsi estraneo alla giustizia come il concetto di cambiamento necessario non può più essere ignorato dall’avvocatura. La sfida dell’avvocatura per i mesi, gli anni a venire è quella di ritrovarsi e di riconoscersi, con rinnovata consapevolezza del suo essere custode e garante dei diritti dentro e fuori la giurisdizione, su principi che sono e restano baluardi della funzione, essenzialmente pubblicistica, tesa a realizzare un interesse generale e sociale anche quando realizza l’interesse di un singolo. Principi che possono o meglio devono rappresentare il patrimonio comune e il comune denominatore degli iscritti anche quando a differenziarli è l’attività. Chi ha l’onore e l’onere di rappresentare oggi l’avvocatura ha una grande responsabilità che è quella di promuovere e indirizzare il cambiamento possibile, contribuire a ridefinire l’identità rispetto alle mutate esigenze di una società profondamente cambiata che ha cambiato profondamente il diritto, senza correre il rischio di smarrirne l’essenza e la natura. Dovrà impegnarsi a salvaguardarne l’etica, riscrivendo parte della deontologia, al fine di ridefinire condizioni, limiti, facoltà del suo operare, sia in materia giudiziale che in quella stragiudiziale. Sarà anche per questo necessario intervenire sulla legge dell’ordinamento professionale ma con l’attenzione e la cura che si deve per garantire alla funzione, comunque e sempre, libertà e indipendenza. Garanzie che non sono incompatibili in maniera assoluta con nuovi e possibili profili professionali, configurabili anche alla luce di normative di recente approvazione: avvocato negoziatore, compositore, mediatore, curatore del minore, consulente(?), ovvero specializzato in uno o più settori dello scibile giuridico. L’avvocatura, nonostante le rassicurazioni sul fatto che sia già contemplata per essa la medesima prerogativa attribuita alla magistratura, ritiene che sia maturo il tempo perché sia esplicitato con chiarezza quali siano i soggetti ai quali la legge demanda la difesa, ritiene sia maturo il tempo per definire, razionalmente ed oggettivamente, quel “percorso comune” di magistrati e avvocati del quale parliamo da anni, e rimasto sulla carta, nell’ottica di favorire una comune cultura della giurisdizione e in linea con quanto già proposto sia in sede di revisione dei percorsi universitari, sia in sede di proposta di riforma dell’accesso alla magistratura. Un’omogenea formazione degli attori del sistema giustizia, ancora e maggiormente convinti della giustezza della causa, ancora una volta a esclusivo favore della Giustizia. Vorrei concludere con una esortazione, sincera e commossa, rivolta agli Avvocati, custodi dei diritti di ciascuno, ma che hanno il dovere primario di esser irreprensibili e leali, anche verso le loro Istituzioni. Il Consiglio Nazionale, l'Avvocatura istituzionale, che attualmente ho il privilegio di rappresentare, intende ricambiare l’Avvocatura con il medesimo rispetto e la medesima lealtà, per rinnovare, nel tratto di mandato che resta, un'intesa improntata alla condivisione sia di ideali che di obiettivi. Solo ciò ci consentirà di perseguire l’interesse superiore dell’Avvocatura e di affermarci come una autorevole voce, unita, libera ed indipendente.