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Condannati per tortura i 10 agenti penitenziari del carcere di San Gimignano, compreso il risarcimento di 80 mila euro nei confronti della vittima. I fatti contestati risalgono all’ottobre 2018 quando un detenuto, secondo l’accusa, sarebbe stato gettato a terra e colpito con calci e pugni durante un trasferimento coatto di cella. I 10 agenti insieme ai loro legali, Manfredi Biotti e Stefano Cipriani, hanno scelto fin da subito la strada del rito abbreviato. Il Pm Valentina Magnini ha chiesto 3 anni di reclusione per 8 di loro, 2 anni per uno ed un anno e 10 mesi per l’altro. La condanna varia da 2 anni e 3 mesi a 2 anni e 8 mesi. Si tratta di un troncone dell’indagine tradotta in centinaia di pagine e condotta dalla Procura di Siena sul presunto pestaggio di un detenuto e che aveva già portato, nel novembre del 2020, al rinvio a giudizio di altri 5 agenti accusati anch’essi di tortura dopo l’introduzione del reato per pubblici ufficiali dal 2017. I 5 agenti, a differenza dei 10 colleghi, faranno un processo ordinario e la prima udienza è fissata per il 18 maggio a Siena. Si tratta di un ispettore superiore, due ispettori capo, due assistenti capo coordinatori all’epoca dei fatti contestati in servizio nell’istituto penitenziario di Ranza. La sentenza di condanna individua la fattispecie autonoma di reato. Il giudice ci ha tenuto a sottolinearlo. Non è un dettaglio di poco conto. La legge sul reato di tortura, secondo alcuni, potrebbe indurre a proporne la diversa lettura della norma in termini di fattispecie autonoma di reato. In estrema sintesi, la tortura da parte di pubblici ufficiali è inserita al secondo comma e c’è il rischio che venga considerata come una fattispecie aggravata, invece che come reato autonomo. Fortunatamente questo non è accaduto. Nell’udienza precedente sono stati visti ampi spezzoni del video che riprese la scena incriminata. L’avvocato Michele Passione, parte civile che ha rappresentato il Garante nazionale delle persone private della libertà, ha detto fin da subito che il video è apparso sufficiente per ricostruire quanto è accaduto. «Si sono mossi a falange – ha spiegato l’avvocato Passione - si vede che viene tirato un pugno, buttato giù. Gli sferrano calci». Il Garante nazionale ha chiesto il risarcimento simbolico di un euro. Secondo l’avvocato Passione non era importante né il risarcimento, né tantomeno gli anni di pena. L’importante, per la parte civile del Garante, è che si sia affermato il principio del contrasto all’impunità evidenziando una fattispecie di reato ben specifica. Lo scopo del Garante Nazionale, d’altronde, è stato quello di sempre: partecipare in qualità di persona offesa ai procedimenti riguardanti presunti episodi di maltrattamento. Tale ruolo ha consentito al Garante nazionale di seguire l’indagine e di contribuire a fare chiarezza su quanto avviene negli Istituti di pena e a contrastare l’impunità. Come parte civile c’è anche l’associazione Altro Diritto che si è presentata anche come garante locale dei detenuti del carcere di San Gimignano. Fin da subito, ha seguito questa vicenda accanto sia alla vittima che ai detenuti testimoni del pestaggio (sollecitando al dap il trasferimento dei detenuti coinvolti e seguendoli anche una volta trasferiti in altri istituti) e a quei medici che hanno deciso di compiere il proprio dovere refertando le lesioni subite dalla vittima, subendone purtroppo le conseguenze.«Esprimiamo soddisfazione per questa sentenza non tanto per le condanne inflitte in sé, auspichiamo infatti che questo possa essere un primo passo verso la fine delle torture e degli abusi nelle carceri e in tutti i luoghi di reclusione», afferma l’associazione Yairaiha Onlus che ha segnalato per la prima volta i presunti pestaggi grazie a una lettera di denuncia da parte dei detenuti, testimoni dell’accaduto. Lettera che Il Dubbio pubblicò in esclusiva e con successivi approfondimenti.