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Il tribunale di Sorveglianza, in risposta al reclamo presentato dal Pm, ha revocato il permesso premio di un giorno concesso al detenuto Salvatore Biondo, che sta scontando l'ergastolo ostativo. Parliamo dell’uomo della famiglia mafiosa di San Lorenzo, da non confondersi con il suo omonimo Salvatore Biondino, coinvolto anch’egli nella strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti di scorta. Il Tribunale ha sostenuto che il giudice aveva concesso il permesso premio non esaminando se il detenuto aveva legami con la criminalità organizzata o se vi era il pericolo che questi si ristabilissero. Il detenuto ha presentato ricorso per Cassazione, sostenendo che l'ordinanza era contraddittoria e illogica e che non aveva esaminato i presupposti per la concessione del permesso premio.
Il ricorso è stato accolto, perché il Tribunale non aveva effettuato le verifiche necessarie. Da ricordare che la concessione del permesso premio richiede che il detenuto abbia una condotta regolare e non rappresenti una minaccia per la società.
Ripercorriamo i fatti. Con l'ordinanza indicata nel preambolo, il Tribunale di sorveglianza di Napoli, in accoglimento del reclamo proposto dal Pubblico ministero, ha revocato il provvedimento con cui il magistrato di Sorveglianza aveva concesso a Salvatore Biondo, detenuto in espiazione della pena dell'ergastolo, il permesso premio di un giorno. Osserva che, pur appartenendo i reati in esecuzione alla categoria di quelli ' ostativi' ai sensi dell'art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, il magistrato di Sorveglianza non aveva esaminato il profilo della sussistenza di collegamenti del detenuto con la criminalità organizzata né il pericolo di un loro ripristino.
L'istante, da parte sua, non aveva fornito elementi utili a confortare la tesi della rescissione dei collegamenti con Cosa nostra né aveva presentato istanza volta al riconoscimento della collaborazione impossibile, anche se – da ricordare – nel frattempo quest’ultima opzione è stata tolta dalla recente riforma dell’ergastolo ostativo.
Ricorre quindi per Cassazione il detenuto Biondo, per il tramite del difensore di fiducia, chiedendo l'annullamento della ordinanza sulla base di un unico motivo. In sostanza sottolinea che il tribunale ha preso una decisione ingiusta perché non ha fatto le verifiche necessarie per valutare se Biondo ha o meno legami con la criminalità organizzata o se rappresenta un pericolo per la società. Inoltre, sempre nel ricorso in cassazione, il detenuto sostiene che il tribunale ha interpretato erroneamente una sentenza della Corte costituzionale. La sentenza dice che il detenuto ergastolano ha il compito di fornire informazioni sulle circostanze in cui si trova e sul suo comportamento in prigione per dimostrare di essere idoneo a ricevere il permesso premio. Cosa che in realtà avrebbe dimostrato, documentando di essere detenuto da oltre venticinque anni nel corso dei qui aveva sempre tenuto una condotta rispettosa delle norme e partecipativa rispetto alle attività trattamentali.
La Cassazione, parliamo della sentenza numero 5954, ritiene fondato il ricorso. Premette che tale beneficio previsto dalla legge ha una funzione pedagogico- propulsiva e premiale, ma il giudice deve accertare la regolare condotta del detenuto, la sua assenza di pericolosità sociale e la funzionalità del permesso premio alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro. La procedura di richiesta di permesso-premio prevede l'acquisizione di informazioni adeguate e la valutazione del tribunale di sorveglianza, che deve decidere se confermare o riformare la pronuncia censurata, anche rilevando le carenze istruttorie, con l'obbligo di apprezzare la fondatezza della domanda e di acquisire le informazioni necessarie.
Per corroborare tali assunti, i giudici supremi fanno riferimento anche ad alcune sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione stessa. Quest’ultima, ovvero la n. 33743 del 14 luglio 2021, stabilisce che il richiedente del permesso premio non può essere chiamato a “riferire” su circostanze di fatto estranee alla sua esperienza percettiva e non può fornire la prova negativa “diretta” di una condizione relazionale, come il “pericolo di ripristino dei contatti”. Il giudice deve invece valutare i fattori che indicano la cessazione di tale pericolo, come la regolare condotta carceraria e la partecipazione positiva alle attività trattamentali. Per tutti questo motivi, la Cassazione ha deciso di annullare il provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Napoli e di rinviarlo per un nuovo giudizio in cui si applicano i principi sopra enunciati.